I procedimenti di arresto e di successiva detenzione, cui i palestinesi residenti nei territori occupati sono regolarmente sottoposti, si basano su di una vasta gamma di "regolamenti militari", la gran parte dei quali illegali secondo il diritto internazionale: tortura, isolamento, divieto delle visite, mancanza di cure mediche, continui trasferimenti da un carcere all'altro, in alcuni casi la morte sotto tortura.
La detenzione amministrativa è una procedura che consente ai militari israeliani di tenere indefinitamente reclusi prigionieri basandosi su prove segrete, senza incriminarli o processarli. Sebbene tale procedura sia usata quasi esclusivamente per i palestinesi dei Territori Occupati, comprendenti Gerusalemme Est, la West Bank e la Striscia di Gaza, anche cittadini israeliani o stranieri possono essere detenuti in via amministrativa da Israele (negli anni, solo 9 coloni israeliani sono stati detenuti in questo modo). Israele ha tre leggi diverse per incarcerare senza processo:
l’Art. 285 del Codice Militare 1651, che è parte della legge militare che si applica nella West Bank;
la Legge sull’Internamento dei Combattenti Illegali, usata contro gli abitanti della Striscia di Gaza dal 2005;
la Legge sullo Stato di Emergenza (Detenzioni), che riguarda i cittadini israeliani.
I palestinesi sono stati soggetti a detenzione amministrativa fin dall’inizio della occupazione israeliana nel 1967, e prima ancora durante il mandato britannico. La frequenza dell’uso di questa misura ha subito variazioni durante l’occupazione israeliana, ed è costantemente aumentata dall’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000.
Alla vigilia della seconda Intifada, Israele deteneva solo 12 palestinesi. Solo due anni dopo, nel tardo 2002-primo 2003, c’erano più di mille palestinesi in detenzione amministrativa. Tra il 2005 e il 2007, il numero medio mensile di detenuti amministrativi palestinesi si aggirava sui 765. Da allora, con l’attenuarsi della violenza e la stabilizzazione della situazione sul campo, tale numero è generalmente diminuito ogni anno.
Al 1 Febbraio 2012 ce n’erano almeno 369 dalla West Bank e da Gerusalemme Est, 24 dei quali erano membri del Consiglio Nazionale Palestinese.
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LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA
LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA NELLA LEGGE INTERNAZIONALE
Sebbene la legge internazionale permetta un uso limitato della detenzione amministrativa in situazioni di emergenza, alle autorità è richiesto di seguire alcune regole base nella detenzione, comprendenti una udienza onesta nella quale il detenuto possa contestare le ragioni della sua detenzione. Oltre a ciò, per ammettere tale detenzione, vi deve essere una emergenza pubblica che minacci la vita della nazione, e la detenzione medesima può essere decisa solo singolarmente, caso per caso, senza alcuna discriminazione. (Dichiarazione Internazionale dei Diritti Civili e Politici, Art.9).
La detenzione amministrativa è la misura più estrema che le leggi umanitarie internazionali permettono ad un a potenza occupante contro gli abitanti di un territorio occupato . Pertanto, agli stati non è consentito usarla in modo generalizzato. Al contrario, la detenzione amministrativa può essere usata contro persone protette di territori occupati solo per “ragioni imperative di sicurezza” (Quarta Convenzione di Ginevra, Art.78.)
In pratica, Israele usa correntemente la detenzione amministrativa in violazione dei parametri stretti della legge internazionale. Non a caso Israele dichiara di essere in permanente stato di emergenza, tale da giustificare l’uso dell’internamento, fin dalla sua nascita nel 1948. Inoltre, la detenzione amministrativa è spesso usata – in violazione diretta della legge internazionale – per punizioni criminali collettive, piuttosto che per prevenire minacce future. Ad esempio, è spesso irrogata nei confronti di persone sospettate di reato dopo una indagine fallita o una mancata confessione.
In pratica, la detenzione amministrativa israeliana viola molti altri standard internazionali. Ad esempio, detenuti provenienti dalla West Bank vengono deportati in Israele, violando direttamente la proibizione della Quarta Convenzione di Ginevra (Artt. 49 e 76). Inoltre, ai prigionieri vengono spesso negate le visite dei familiari previste dagli standard internazionali, e non vengono tenuti separati dagli altri detenuti, come prevedono le leggi internazionali. In più, nel caso di bambini detenuti, Israele non tiene mai conto dei loro interessi come la legge internazionale richiede.
Sebbene la legge internazionale permetta un uso limitato della detenzione amministrativa in situazioni di emergenza, alle autorità è richiesto di seguire alcune regole base nella detenzione, comprendenti una udienza onesta nella quale il detenuto possa contestare le ragioni della sua detenzione. Oltre a ciò, per ammettere tale detenzione, vi deve essere una emergenza pubblica che minacci la vita della nazione, e la detenzione medesima può essere decisa solo singolarmente, caso per caso, senza alcuna discriminazione. (Dichiarazione Internazionale dei Diritti Civili e Politici, Art.9).
La detenzione amministrativa è la misura più estrema che le leggi umanitarie internazionali permettono ad un a potenza occupante contro gli abitanti di un territorio occupato . Pertanto, agli stati non è consentito usarla in modo generalizzato. Al contrario, la detenzione amministrativa può essere usata contro persone protette di territori occupati solo per “ragioni imperative di sicurezza” (Quarta Convenzione di Ginevra, Art.78.)
In pratica, Israele usa correntemente la detenzione amministrativa in violazione dei parametri stretti della legge internazionale. Non a caso Israele dichiara di essere in permanente stato di emergenza, tale da giustificare l’uso dell’internamento, fin dalla sua nascita nel 1948. Inoltre, la detenzione amministrativa è spesso usata – in violazione diretta della legge internazionale – per punizioni criminali collettive, piuttosto che per prevenire minacce future. Ad esempio, è spesso irrogata nei confronti di persone sospettate di reato dopo una indagine fallita o una mancata confessione.
In pratica, la detenzione amministrativa israeliana viola molti altri standard internazionali. Ad esempio, detenuti provenienti dalla West Bank vengono deportati in Israele, violando direttamente la proibizione della Quarta Convenzione di Ginevra (Artt. 49 e 76). Inoltre, ai prigionieri vengono spesso negate le visite dei familiari previste dagli standard internazionali, e non vengono tenuti separati dagli altri detenuti, come prevedono le leggi internazionali. In più, nel caso di bambini detenuti, Israele non tiene mai conto dei loro interessi come la legge internazionale richiede.
DETENZIONE AMMINISTRATIVA NELLA WEST BANK: IL CODICE MILITARE 1651
Nella West Bank palestinese occupata, l’esercito israeliano è autorizzato a irrogare ordini di detenzione amministrativa contro civili palestinesi sulla base dell’art. 285 del codice militare 1651. Questo articolo dà facoltà ai comandanti militari di detenere una persona fino a sei mesi, rinnovabili se vi sono “ ragioni sufficienti per presumere che la sicurezza della zona o pubblica“ lo richiedano. La sicurezza “pubblica” o “della zona” non sono definite. Alla data di scadenza o appena prima, l’ordine viene spesso rinnovato, e non vi è alcun riferimento esplicito alla durata massima possibile, legalizzando una detenzione indefinita.
Gli ordini di detenzione vengono irrogati al momento dell’arresto o in seguito, spesso basandosi su “informazioni segrete” raccolte dai servizi israeliani (in precedenza noti come General Security Service). Nella stragrande maggioranza dei casi, né il detenuto né il suo avvocato vengono informati delle ragioni dell’internamento o messi al corrente delle “informazioni segrete”. Un palestinese detenuto deve essere portato ad una corte militare in udienza a porte chiuse entro otto giorni dal suo arresto, nella quale il giudice può confermare, abbreviare o cancellare l’ordine di detenzione. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli ordini di detenzione amministrativa sono confermati per l’intero periodo richiesto dal comandante militare. Il detenuto può fare appello, ma gli appelli sono quasi sempre respinti. Quindi i palestinesi possono essere incarcerati per mesi, se non anni, in via amministrativa, senza mai essere informati sulle ragioni o sulla durata del loro internamento. I detenuti vengono di solito informati dell’estensione della loro prigionia nel giorno in cui il precedente ordine scade. In base a tali procedure, i palestinesi non hanno alcun modo di appellarsi contro la loro detenzione.
Nella West Bank palestinese occupata, l’esercito israeliano è autorizzato a irrogare ordini di detenzione amministrativa contro civili palestinesi sulla base dell’art. 285 del codice militare 1651. Questo articolo dà facoltà ai comandanti militari di detenere una persona fino a sei mesi, rinnovabili se vi sono “ ragioni sufficienti per presumere che la sicurezza della zona o pubblica“ lo richiedano. La sicurezza “pubblica” o “della zona” non sono definite. Alla data di scadenza o appena prima, l’ordine viene spesso rinnovato, e non vi è alcun riferimento esplicito alla durata massima possibile, legalizzando una detenzione indefinita.
Gli ordini di detenzione vengono irrogati al momento dell’arresto o in seguito, spesso basandosi su “informazioni segrete” raccolte dai servizi israeliani (in precedenza noti come General Security Service). Nella stragrande maggioranza dei casi, né il detenuto né il suo avvocato vengono informati delle ragioni dell’internamento o messi al corrente delle “informazioni segrete”. Un palestinese detenuto deve essere portato ad una corte militare in udienza a porte chiuse entro otto giorni dal suo arresto, nella quale il giudice può confermare, abbreviare o cancellare l’ordine di detenzione. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli ordini di detenzione amministrativa sono confermati per l’intero periodo richiesto dal comandante militare. Il detenuto può fare appello, ma gli appelli sono quasi sempre respinti. Quindi i palestinesi possono essere incarcerati per mesi, se non anni, in via amministrativa, senza mai essere informati sulle ragioni o sulla durata del loro internamento. I detenuti vengono di solito informati dell’estensione della loro prigionia nel giorno in cui il precedente ordine scade. In base a tali procedure, i palestinesi non hanno alcun modo di appellarsi contro la loro detenzione.
DETENZIONE AMMINISTRATIVA NELLA STRISCIA DI GAZA: LEGGE SUI COMBATTENTI ILLEGALI
Nella Striscia di Gaza, Israele usa la Legge sui Combattenti Illegali per incarcerare palestinesi per periodi illimitati, senza alcun processo reale. La legge fu approvata dalla Knesset israeliana nel 2002 per permettere allo stato di trattenere “ostaggi” libanesi dopo che la Corte Suprema di Israele aveva dichiarato illegale tale pratica. Sebbene tutti i libanesi siano stati rilasciati nel 2004, la legge non fu revocata. Invece, a partire dal 2005 dopo il “disimpegno” unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza, e il conseguente termine della legge militare israeliana nella zona, si cominciò ad usare quella legge per imprigionare abitanti della Striscia. La legge definisce “combattente illegale” chi “direttamente o indirettamente partecipi ad atti ostili allo Stato di Israele, o sia membro di una forza che compia atti ostili allo Stato di Israele”, senza aver titolo allo status di prigioniero di guerra secondo la legge umanitaria internazionale. Tale legge consente l’arresto in massa e la detenzione immediata e senza processo di palestinesi abitanti della Striscia e cittadini stranieri. Ad oggi è stata usata per incarcerare 54 persone, 15 cittadini libanesi e 39 abitanti di Gaza, quasi tutti catturati durante l’operazione militare “Piombo Fuso” nel 2008-2009, molte dei quali poi rilasciati. Nel settembre 2001, Israele deteneva ancora due palestinesi di Gaza. Con questa legge, i detenuti possono essere trattenuti per 96 ore prima di irrogare un ordine di detenzione permanente, o fino a sette giorni se il governo ha dichiarato le “ostilità su larga scala”. L’esame giudiziario di tale ordine deve essere tenuto, a porte chiuse, dopo 14 giorni; se l’ordine è approvato, il detenuto deve comparire davanti a un giudice ogni sei mesi. Il giudice può revocare l’ordine qualora la corte consideri che ciò non leda la sicurezza dello stato.
In pratica, la legge sui combattenti illegali dà meno garanzie ai detenuti rispetto a quella militare della West Bank. La revisione giudiziaria si tiene meno spesso; non è richiesto uno stato di emergenza; e la detenzione “ si effettua su ordine del capo di stato maggiore o di un ufficiale col grado di maggior generale” . In più, la legge stabilisce due assiomi che spostano l’onere della prova sull’imputato: primo, il rilascio di una persona definita “combattente illegale” danneggia la sicurezza nazionale fino a prova contraria; secondo è il Ministero della Difesa israeliano a stabilire che l’organizzazione alla quale la persona appartiene è ostile, fino a prova contraria. Ciò palesemente viola la presunzione di innocenza dell’imputato, e dà esito a un sistema di detenzione indefinita giustificata da pura speculazione.
Nella Striscia di Gaza, Israele usa la Legge sui Combattenti Illegali per incarcerare palestinesi per periodi illimitati, senza alcun processo reale. La legge fu approvata dalla Knesset israeliana nel 2002 per permettere allo stato di trattenere “ostaggi” libanesi dopo che la Corte Suprema di Israele aveva dichiarato illegale tale pratica. Sebbene tutti i libanesi siano stati rilasciati nel 2004, la legge non fu revocata. Invece, a partire dal 2005 dopo il “disimpegno” unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza, e il conseguente termine della legge militare israeliana nella zona, si cominciò ad usare quella legge per imprigionare abitanti della Striscia. La legge definisce “combattente illegale” chi “direttamente o indirettamente partecipi ad atti ostili allo Stato di Israele, o sia membro di una forza che compia atti ostili allo Stato di Israele”, senza aver titolo allo status di prigioniero di guerra secondo la legge umanitaria internazionale. Tale legge consente l’arresto in massa e la detenzione immediata e senza processo di palestinesi abitanti della Striscia e cittadini stranieri. Ad oggi è stata usata per incarcerare 54 persone, 15 cittadini libanesi e 39 abitanti di Gaza, quasi tutti catturati durante l’operazione militare “Piombo Fuso” nel 2008-2009, molte dei quali poi rilasciati. Nel settembre 2001, Israele deteneva ancora due palestinesi di Gaza. Con questa legge, i detenuti possono essere trattenuti per 96 ore prima di irrogare un ordine di detenzione permanente, o fino a sette giorni se il governo ha dichiarato le “ostilità su larga scala”. L’esame giudiziario di tale ordine deve essere tenuto, a porte chiuse, dopo 14 giorni; se l’ordine è approvato, il detenuto deve comparire davanti a un giudice ogni sei mesi. Il giudice può revocare l’ordine qualora la corte consideri che ciò non leda la sicurezza dello stato.
In pratica, la legge sui combattenti illegali dà meno garanzie ai detenuti rispetto a quella militare della West Bank. La revisione giudiziaria si tiene meno spesso; non è richiesto uno stato di emergenza; e la detenzione “ si effettua su ordine del capo di stato maggiore o di un ufficiale col grado di maggior generale” . In più, la legge stabilisce due assiomi che spostano l’onere della prova sull’imputato: primo, il rilascio di una persona definita “combattente illegale” danneggia la sicurezza nazionale fino a prova contraria; secondo è il Ministero della Difesa israeliano a stabilire che l’organizzazione alla quale la persona appartiene è ostile, fino a prova contraria. Ciò palesemente viola la presunzione di innocenza dell’imputato, e dà esito a un sistema di detenzione indefinita giustificata da pura speculazione.
In un nuovo rapporto su Israele, Amnesty International ha chiesto che tutti i palestinesi sottoposti a detenzione amministrativa siano rilasciati oppure incriminati e sottoposti a un processo equo e tempestivo.
Il rapporto, intitolato "Affamati di giustizia: palestinesi detenuti senza processo da Israele", documenta le violazioni dei diritti umani collegate alla detenzione amministrativa, un'eredità delle leggi britanniche che permette la detenzione senza accusa né processo sulla base di ordinanze militari rinnovabili a tempo indeterminato.
L'organizzazione per i diritti umani ha chiesto alle autorità israeliane di cessare di ricorrere alla detenzione amministrativa per reprimere legittime e pacifiche azioni degli attivisti dei Territori palestinesi occupati e di rilasciare tutti i prigionieri di coscienza, detenuti solo per aver esercitato in modo pacifico i loro diritti alla libertà di espressione e di associazione.
I palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa, così come molti altri prigionieri palestinesi, vengono sottoposti a maltrattamenti e torture nel corso degli interrogatori e a trattamenti crudeli e degradanti durante il periodo di carcere, talvolta a mo' di punizione per aver intrapreso scioperi della fame o altre proteste.
Inoltre, i palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa e le loro famiglie sono costretti a vivere nell'incertezza di non conoscere per quanto tempo resteranno privati della libertà e nell'ingiustizia di non sapere esattamente perché sono detenuti. Come altri prigionieri palestinesi, vanno incontro a divieti di visite familiari, trasferimenti forzati, espulsioni e periodi d'isolamento.
Queste pratiche violano gli obblighi di Israele rispetto al diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Israele ha infatti il dovere di rispettare gli standard sul giusto processo e sui procedimenti equi e di prendere misure efficaci per porre fine ai maltrattamenti e alle torture sui detenuti.
Israele deve inoltre consentire le visite familiari a tutti i prigionieri e detenuti palestinesi, e porre fine ai trasferimenti forzati e alle espulsioni. Israele, infine, è obbligato a indagare sulle violazioni dei diritti umani, sottoporre a processo i responsabili e fornire riparazione alle vittime.
"Da decenni sollecitiamo Israele a porre fine alla detenzione amministrativa e a rilasciare i detenuti, oppure sottoporli a un processo rispettoso degli standard internazionali per un reato internazionalmente riconosciuto" - ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Alla fine di aprile, erano in detenzione amministrativa almeno 308 palestinesi, tra cui 24 parlamentari del Consiglio legislativo palestinese e il presidente di questo organismo, Aziz Dweik. Tra gli altri detenuti, figurano difensori dei diritti umani come Walid Hanatsheh, almeno quattro giornalisti, studenti e impiegati universitari.
Negli ultimi mesi, il prolungato sciopero della fame di alcuni palestinesi in detenzione amministrativa, come Khader Adnan e Hana Shalabi, ha proposto questo tema all'attenzione internazionale. A partire dal 17 aprile, lo sciopero della fame ha coinvolto circa 2000 detenuti palestinesi, molti dei quali stavano scontando condanne o erano in attesa del processo.
Il rapporto, intitolato "Affamati di giustizia: palestinesi detenuti senza processo da Israele", documenta le violazioni dei diritti umani collegate alla detenzione amministrativa, un'eredità delle leggi britanniche che permette la detenzione senza accusa né processo sulla base di ordinanze militari rinnovabili a tempo indeterminato.
L'organizzazione per i diritti umani ha chiesto alle autorità israeliane di cessare di ricorrere alla detenzione amministrativa per reprimere legittime e pacifiche azioni degli attivisti dei Territori palestinesi occupati e di rilasciare tutti i prigionieri di coscienza, detenuti solo per aver esercitato in modo pacifico i loro diritti alla libertà di espressione e di associazione.
I palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa, così come molti altri prigionieri palestinesi, vengono sottoposti a maltrattamenti e torture nel corso degli interrogatori e a trattamenti crudeli e degradanti durante il periodo di carcere, talvolta a mo' di punizione per aver intrapreso scioperi della fame o altre proteste.
Inoltre, i palestinesi sottoposti alla detenzione amministrativa e le loro famiglie sono costretti a vivere nell'incertezza di non conoscere per quanto tempo resteranno privati della libertà e nell'ingiustizia di non sapere esattamente perché sono detenuti. Come altri prigionieri palestinesi, vanno incontro a divieti di visite familiari, trasferimenti forzati, espulsioni e periodi d'isolamento.
Queste pratiche violano gli obblighi di Israele rispetto al diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Israele ha infatti il dovere di rispettare gli standard sul giusto processo e sui procedimenti equi e di prendere misure efficaci per porre fine ai maltrattamenti e alle torture sui detenuti.
Israele deve inoltre consentire le visite familiari a tutti i prigionieri e detenuti palestinesi, e porre fine ai trasferimenti forzati e alle espulsioni. Israele, infine, è obbligato a indagare sulle violazioni dei diritti umani, sottoporre a processo i responsabili e fornire riparazione alle vittime.
"Da decenni sollecitiamo Israele a porre fine alla detenzione amministrativa e a rilasciare i detenuti, oppure sottoporli a un processo rispettoso degli standard internazionali per un reato internazionalmente riconosciuto" - ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Alla fine di aprile, erano in detenzione amministrativa almeno 308 palestinesi, tra cui 24 parlamentari del Consiglio legislativo palestinese e il presidente di questo organismo, Aziz Dweik. Tra gli altri detenuti, figurano difensori dei diritti umani come Walid Hanatsheh, almeno quattro giornalisti, studenti e impiegati universitari.
Negli ultimi mesi, il prolungato sciopero della fame di alcuni palestinesi in detenzione amministrativa, come Khader Adnan e Hana Shalabi, ha proposto questo tema all'attenzione internazionale. A partire dal 17 aprile, lo sciopero della fame ha coinvolto circa 2000 detenuti palestinesi, molti dei quali stavano scontando condanne o erano in attesa del processo.
Il rapporto di Amnesty International documenta una serie di misure adottate dalla direzione delle carceri (Israel Prison Service - Ips) nei confronti dei prigionieri in sciopero della fame, alcuni dei quali hanno denunciato di aver subito maltrattamenti da parte del personale medico dell'Ips.
Dopo un accordo promosso dall'Egitto, il 14 maggio lo sciopero della fame di massa è stato sospeso. Mahmoud al-Sarsak, un calciatore palestinese di Gaza, ha però deciso di continuarlo e ha superato i 70 giorni senza assunzione di cibo. Al-Sarsak protesta contro i quasi tre anni di detenzione senza accusa né processo. Ricoverato in un centro medico dell'Ips che non può fornire le cure specializzate necessarie a pazienti in condizioni critiche come le sue, si trova in grave pericolo di vita.
In base all'accordo del 14 maggio, Israele ha accettato, tra l'altro, di porre fine all'isolamento di 19 prigionieri, che in alcuni casi si protraeva da 10 anni, e di rimuovere il divieto di visite familiari ai detenuti originari della Striscia di Gaza.
"Nonostante molti resoconti di stampa abbiano fatto intendere che Israele avrebbe accettato di rilasciare i palestinesi in detenzione amministrativa alla fine del periodo di detenzione in corso, 'salvo ricevere nuove, significative, informazioni', ci risulta che per quanto riguarda la detenzione senza accusa né processo le cose vadano avanti come sempre" - ha aggiunto Harrison. "Riteniamo che da quando è stato raggiunto l'accordo, siano state rinnovate almeno 30 ordinanze di detenzione amministrativa e ne siano state emanate tre nuove. Le visite ai prigionieri originari della Striscia di Gaza non sono ancora iniziate".
"Le autorità israeliane hanno il dovere di proteggere ogni persona, in Israele e nei Territori palestinesi occupati, dalle minacce alla loro vita e alla loro integrità fisica. Ma devono farlo in una maniera tale da rispettare i diritti umani" - ha sottolineato Harrison.
"Israele usa da decenni la detenzione amministrativa, che dovrebbe essere un provvedimento eccezionale contro persone che pongono un rischio estremo e imminente per la sicurezza, per aggirare i diritti umani dei detenuti. È un relitto della storia che dovrebbe essere consegnato al passato" - ha concluso Harrison.
Amnesty International svolge campagne contro la detenzione amministrativa in tutto il mondo. Negli ultimi anni, l'organizzazione per i diritti umani ha denunciato questo istituto e ne ha chiesto la fine in paesi tra cui Sri Lanka, Egitto, Cina e India (con riferimento allo stato di Jammu e Kashmir).
Dopo un accordo promosso dall'Egitto, il 14 maggio lo sciopero della fame di massa è stato sospeso. Mahmoud al-Sarsak, un calciatore palestinese di Gaza, ha però deciso di continuarlo e ha superato i 70 giorni senza assunzione di cibo. Al-Sarsak protesta contro i quasi tre anni di detenzione senza accusa né processo. Ricoverato in un centro medico dell'Ips che non può fornire le cure specializzate necessarie a pazienti in condizioni critiche come le sue, si trova in grave pericolo di vita.
In base all'accordo del 14 maggio, Israele ha accettato, tra l'altro, di porre fine all'isolamento di 19 prigionieri, che in alcuni casi si protraeva da 10 anni, e di rimuovere il divieto di visite familiari ai detenuti originari della Striscia di Gaza.
"Nonostante molti resoconti di stampa abbiano fatto intendere che Israele avrebbe accettato di rilasciare i palestinesi in detenzione amministrativa alla fine del periodo di detenzione in corso, 'salvo ricevere nuove, significative, informazioni', ci risulta che per quanto riguarda la detenzione senza accusa né processo le cose vadano avanti come sempre" - ha aggiunto Harrison. "Riteniamo che da quando è stato raggiunto l'accordo, siano state rinnovate almeno 30 ordinanze di detenzione amministrativa e ne siano state emanate tre nuove. Le visite ai prigionieri originari della Striscia di Gaza non sono ancora iniziate".
"Le autorità israeliane hanno il dovere di proteggere ogni persona, in Israele e nei Territori palestinesi occupati, dalle minacce alla loro vita e alla loro integrità fisica. Ma devono farlo in una maniera tale da rispettare i diritti umani" - ha sottolineato Harrison.
"Israele usa da decenni la detenzione amministrativa, che dovrebbe essere un provvedimento eccezionale contro persone che pongono un rischio estremo e imminente per la sicurezza, per aggirare i diritti umani dei detenuti. È un relitto della storia che dovrebbe essere consegnato al passato" - ha concluso Harrison.
Amnesty International svolge campagne contro la detenzione amministrativa in tutto il mondo. Negli ultimi anni, l'organizzazione per i diritti umani ha denunciato questo istituto e ne ha chiesto la fine in paesi tra cui Sri Lanka, Egitto, Cina e India (con riferimento allo stato di Jammu e Kashmir).
Ulteriori informazioni
Il rapporto "Affamati di giustizia: palestinesi detenuti senza processo da Israele" si basa su informazioni e resoconti forniti ad Amnesty International da ex detenuti e dai loro familiari e avvocati, attraverso interviste telefoniche e sul campo, così come da organizzazioni israeliane e palestinesi per i diritti umani e scambi di corrispondenza con le autorità israeliane.
Questo rapporto non riguarda le violazioni dei diritti dei detenuti da parte dell'Autorità palestinese o dell'amministrazione de facto di Hamas a Gaza. Queste violazioni sono state e saranno oggetto di separate campagne di Amnesty International.
Dal 1967 Israele ha sottoposto 100mila palestinesi a detenzione amministrativa
Il rapporto "Affamati di giustizia: palestinesi detenuti senza processo da Israele" si basa su informazioni e resoconti forniti ad Amnesty International da ex detenuti e dai loro familiari e avvocati, attraverso interviste telefoniche e sul campo, così come da organizzazioni israeliane e palestinesi per i diritti umani e scambi di corrispondenza con le autorità israeliane.
Questo rapporto non riguarda le violazioni dei diritti dei detenuti da parte dell'Autorità palestinese o dell'amministrazione de facto di Hamas a Gaza. Queste violazioni sono state e saranno oggetto di separate campagne di Amnesty International.
Dal 1967 Israele ha sottoposto 100mila palestinesi a detenzione amministrativa
Senz’accusa diretta, né procedimento legale, queste detenzioni sono provvedimenti amministrativi, decisi dall’intelligence israeliana senza alcun coinvolgimento di un giuduce.
Le leggi sulle quali si basano queste detenzioni risalgono al Mandato Britannico sulla Palestina, sebbene abrogate dalla stessa potenza mandataria prima di lasciare il territorio amministrato.
Le detenzioni amministrative non hanno risparmiato nessuno, e si registra una “ricca” casistica per quanto riguarda gli arresti di rappresentanti politici, accademici e intellettuali, deputati del Consiglio legislativo (Clp). Essa risulta essere molto diffusa anche nei confronti di madri di minorenni.
Pertanto, si può affermare che le detenzioni amministrative fanno parte di quel complesso insieme di punizioni collettive che Israele infligge al popolo palestinese.
Elisa Gennaro
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