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giovedì 28 agosto 2014

RASSEGNA " MEDIORIENTE CHIAMA OCCIDENTE" LA PRIMA TAPPA A SALEMI



Oggi, 26 Agosto 2014, si è svolta a Salemi, in provincia di Trapani, a cura del Gruppo Archeologico Xaipe, all'interno del Cortile Salvo, trasformato per l'occasione in salotto culturale, la prima tappa della Rassegna itinerante " Medioriente chiama Occidente". Hanno partecipato all'evento : La pittrice Silvana Parlagreco che ha fatto una breve introduzione seguita dalla presentazione dei vari  La Dottoressa Rosetta Catalanotto che ci ha parlato delle differenze e delle similitudini culturali fra il popolo palestinese e quello israeliano, Abdel Karim Hannachi - Professore di lingua e storia araba presso l'Università di Enna,  ha fatto un raffronto storico  fra l'olocausto e la pulizia etnica che israele sta compiendo nei confronti del popolo palestinese, denunciando gli effetti di questa occupazione illegale ; Rino Marino - Regista teatrale e attore insieme all'attrice Ermelinda Palmeri hanno interpretato alcune poesie di Darwish (poeta palestinese) e alcuni brani tratti dai libri "Ritorno ad Haifa" di Ghassan Kanafani e "Restiamo Umani" di Vittorio Arrigoni ; due poeti : Rosanna Sanfilippo di Salemi e Angelo Puma hanno declamato ognuno la propria poesia in sintonia col tema della Rassegna ; Francesco Puglia, che amo definire " lo storico del gruppo" ci ha parlato della situazione palestinese prima e dopo la "Nakba" del 1948,  della situazione   economico - culturale che caratterizzano l'odierno Medioriente. Hanno fatto da cornice , sotto un sereno cielo stellato le opere pittoriche di Silvana Parlagreco, Lidia Angelo, Susanna Caracci.

Tale Rassegna nasce da un'idea della pittrice Silvana Parlagreco e si svolgerà in diverse città d'italia. La prossima tappa è prevista a Castelvetrano nel mese di settembre.
Ringraziamenti speciali vanno a  Leonardo Lombardo (direttore del gruppo archeologico Xaipe), a Claudia Sinacori e a Maurizio Pedone senza il cui supporto la Rassegna non avrebbe potuto prendere il via.


                                            ALBUM FOTOGRAFICO:







































domenica 17 agosto 2014

Alessandro di Battista : ISIS: Che fare?


"Dagli anni '20 ai '60
A Sèvres, nel 1921, Francia e Gran Bretagna si spartirono i possedimenti mediorientali dell'ormai decaduto Impero Ottomano.
Alla Francia andarono Libano e Siria, alla GB la Palestina, la Transgiordania e l'odierno Iraq. I confini vennero segnati utilizzando matite, righelli e, probabilmente, sotto l'influsso di qualche coppa di champagne.
Altrimenti come ci si potrebbe spiegare l'invenzione folle del Regno dell'Iraq, uno stato abitato, oltre che da decine di minoranze, da tre popolazioni profondamente diverse tra loro: i curdi, gli sciiti e i sunniti?
La drammatica storia dell'Iraq nasce tutta da qui. Colpi di stato, spinte autonomiste curde, resistenze sunnite, attentati sciiti, difesa del controllo petrolifero da parte del Regno Unito, intervento della Germania nazista. Non si sono fatti mancare nulla fuorché la pace.
La CIA e i colpi di Stato che fanno meno scalpore del terrorismo
Durante la crisi di Suez Baghdad divenne la principale base inglese, nel 1958 venne abolita la monarchia e nel 1963, anche in chiave anti-sovietica, la CIA favorì un colpo di stato per deporre Abd al-Karim Qasim, l'allora premier iracheno, colpevole di aver approvato una norma che proibiva l'assegnazione di nuove concessioni petrolifere alle multinazionali straniere. In Iraq, tra deserto, cammelli e rovine babilonesi accadde quel che già si era visto all'ombra delle piramidi maya nel 1954 quando Allen Dulles*, direttore della CIA, armò truppe mercenarie honduregne per buttare giù Jacobo Arbenz, il Presidente del Guatemala regolarmente eletto, colpevole di voler espropriare le terre inutilizzate appartenenti alla statunitense United Fruit Company e distribuirle ai contadini. Risultato? Presidenti fantoccio, guerra civile e povertà.
Mi domando per quale razza di motivo si provi orrore per il terrorismo islamico e non per i colpi di stato promossi dalla CIA. Destituire, solo per osceni interessi economici, un governo regolarmente eletto con la conseguenza di favorire una guerra civile è meno grave di far esplodere un aereo in volo?
L'Iraq, come il Guatemala o il Congo RCD hanno avuto il torto di possedere delle risorse. I poveri hanno il torto di avere ricchezza sotto ai piedi. Il petrolio iracheno è stato il peggior nemico del popolo iracheno. A Baghdad nel 1960, tre anni prima della deposizione di Qasim, Iraq, Iran, Venezuela e Arabia Saudita avevano fondato l'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), per contrastare lo strapotere delle “7 sorelle”, le principali compagnie petrolifere mondiali così chiamate da Enrico Mattei, il Presidente dell'ENI di quegli anni.
Mattei e la sovranità nazionale in Medio Oriente
Una digressione su Mattei è d'obbligo, se non altro per capire quanto, dall'invenzione del “profitto ad ogni costo”, ogni industriale, stato sovrano o partito politico si sia messo contro il capitalismo internazionale abbia fatto una brutta fine. E' successo a brave persone e a delinquenti, a politici democratici e a dittatori sanguinari difesi fino a che lo spargimento di sangue dei quali erano responsabili non avesse intaccato gli interessi del grande capitale. Mattei, dopo aver concluso importanti affari con l'Iran, si stata avvicinando a Qasim quest'ultimo alla ricerca di un nuovo partner commerciale che gli garantisse maggiori introiti di quelli concessi dagli inglesi. La sacrosanta ricerca di sovranità economica, politica ed energetica da parte di alcuni paesi mediorientali era ben vista da Mattei il quale, mosso da una intraprendenza tipicamente italiana e dall'ambizione di fare gli interessi dello Stato, ne scorgeva un'opportunità imperdibile.
Quando nel 1961 il Regno Unito concesse l'indipendenza al Kuwait Mattei fiutò l'affare. Baghdad ha sempre ritenuto il Kuwait parte del suo territorio e quando la GB lo proclamò stato sovrano Qasim si indignò per lo smacco subito convincendosi della necessità di trovare nuovi paesi con cui concludere affari**. Mattei e Qasim, nonostante il primo ministro Fanfani e il ministro degli esteri Segni negarono qualsiasi coinvolgimento italiano, iniziarono una serie di trattative e, sembra, che dei tecnici ENI si recarono in Iraq. Quel che è certo è che le 7 sorelle sono come i fili della luce: “se li tocchi muori”. Tre mesi e mezzo prima che Qasim, con il beneplacito della CIA, venisse trucidato a Baghdad, Mattei esplode in aria con il suo aereo privato. I mandanti e gli esecutori del suo assassinio sono ancora ignoti tuttavia è bene ricordare che Tommaso Buscetta, il pentito che descrisse per filo e per segno la struttura di “Cosa Nostra” a Giovanni Falcone, dichiarò che Mattei venne ucciso dalla mafia per fare “un favore agli stranieri” e che Mauro De Mauro, il giornalista che stava indagando sulla morte di Mattei, venne rapito e ucciso da Mimmo Teresi su ordine di Stefano Bontade***.
Il futuro è nero, come l'oro che fa scorrere il sangue
In “La verità nascosta sul petrolio” Eric Laurent scrive: “Il mondo del petrolio è dello stesso colore del liquido tanto ricercato: nero, come le tendenze più oscure della natura umana. Suscita bramosie, accende passioni, provoca tradimenti e conflitti omicidi, porta alle manipolazioni più scandalose”.
“Conflitti omicidi, manipolazioni scandalose, tradimenti”. Queste parole sembrano descrivere perfettamente la storia dell'Iraq moderno.
Saddam Hussein divenne Presidente della Repubblica irachena nel 1979 sostituendo Al-Bakr, l'ex-leader del partito Ba'th che qualche anno prima aveva nazionalizzato l'impresa britannica Iraq Petroleum Company. Saddam, con l'enorme denaro ricavato dalla vendita di petrolio, cambiò radicalmente il Paese. Sostituì la legge coranica con dei codici di stampo occidentale, portò la corrente fino ai villaggi più poveri, fece approvare leggi che garantivano maggiori diritti alle donne. L'istruzione e la salute divennero gratuite per tutti. In quegli anni di profonda instabilità regionale il regime di Saddam divenne un esempio di ordine e sicurezza. Tuttavia tutto questo ebbe un prezzo. I cristiani non erano un pericolo per il regime e vennero lasciati in pace ma i curdi, vuoi per le loro spinte autonomiste che per la loro presenza potenzialmente pericolosa in zone ricche di petrolio, vennero colpiti, discriminati e spesso trucidati. Lo stesso avvenne agli sciiti che non abbassavano la testa. Quando Saddam gli riversò contro le armi chimiche fornitegli dagli USA in chiave anti-iraniana nessuna istituzione statunitense parlò di genocidio, di diritti umani violati, di terrorismo islamico. Saddam era ancora un buon amico. L'amichevole stretta di mano tra il leader iracheno e Donald Rumsfeld, all'epoca inviato speciale di Reagan, dimostra quanto per gli USA la violenza è un problema a giorni alterni. Negli anni '80 Washington era preoccupata dall'intraprendenza economica di Teheran e Saddam era un possibile alleato per contrastare la linea anti-occidentale nata in Iran con la rivoluzione del '79.
Anni di guerre
Tuttavia, sebbene la Repubblica islamica iraniana fosse apertamente anti-americana gli USA fornirono armi a Teheran durante la guerra Iran-Iraq. Il denaro è sempre denaro! Con i proventi della vendita di armi all'Iran gli USA finanziarono tra l'altro i paramilitari delle Contras che avevano come obiettivo la destituzione in Nicaragua del governo sandinista regolarmente eletto.
Ovviamente gli USA (anche l'URSS - la guerra fredda diventava tiepida se si potevano fare affari assieme) finanziarono contemporaneamente Saddam. Il sogno dell'industria bellica, una guerra infinita combattuta da due forze equivalenti, era diventato realtà. Per diversi anni le potenze occidentali lasciarono Iraq e Iran a scannarsi tra loro. Un milione di morti dell'epoca non valevano, evidentemente, le migliaia di vittime provocate dall'avanzata dell'ISIS di questi giorni. Le multinazionali della morte appena finito di parlare con Saddam alzavano la cornetta e chiamavano Teheran. «Ho appena venduto all'Iraq 200 carri armati ma a te ti do a un prezzo stracciano questa batteria anticarro». Le cose cambiarono quando l'esercito iraniano prese il sopravvento. Teheran stava per espugnare Bassora quando gli USA, sedicenti cacciatori di armi chimiche in tutto il mondo, inviarono una partita di gas cianuro a Saddam il quale non perse tempo e lo utilizzò per respingere le truppe iraniane. Ma si sa, gli USA sono generosi e di gas ne inviarono parecchio. Saddam pensò bene di utilizzarne la restante parte per gassare l'intera popolazione curda del villaggio di Halabja ma in occidente nessuno si strappò le vesti, il dittatore era ancora un buon amico. Saddam divenne un acerrimo nemico quando invase il Kuwait. Anche in quel caso non furono i morti o le centinaia di migliaia di profughi a preoccupare i funzionari di Washington sempre a stretto contatto con Wall Street. La conquista irachena del Kuwait metteva in pericolo gli interessi economici statunitensi. Una cosa inaccettabile per chi da anni lavora per il controllo mondiale del petrolio. L'operazione “Desert Storm” venne lanciata, il Kuwait “liberato” ma Saddam rimase al suo posto. Un'eccessivo indebolimento dell'Iraq avrebbe favorito Teheran e questo sarebbe stato intollerabile. I bombardamenti USA causarono oltre 30.000 bambini morti ma erano “bombe a fin di bene”.
L'11 settembre
L'attentato alle Torri Gemelle fu una panacea per il grande capitale nordamericano. Forse anche a New York qualcuno “alle 3 e mezza di mattina rideva dentro il letto” come capitò a quelle merde dopo il terremoto a L'Aquila. Quei 3.000 morti americani vennero utilizzati come pretesto per attaccare l'Afghanistan, un paese con delle leggi antitetiche rispetto al nostro diritto ma che con il terrorismo internazionale non ha mai avuto a che fare, e l'Iraq. Era ormai tempo di buttare giù Saddam e prendere il pieno controllo del petrolio iracheno. La vittoria della Nato fece piombare il Paese in una guerra civile senza precedenti e le fantomatiche armi di distruzione di massa non vennero mai trovate. Ripeto, Saddam le aveva, ahimè, già utilizzate e gli USA lo sapevano benissimo. A questo punto mi domando quanto un miliziano dell'ISIS capace di decapitare con una violenza inaudita un prigioniero sia così diverso dal Segretario di Stato Colin Powell colui che, mentendo e sapendo di mentire, mostrò una provetta di antrace fornitagli da chissà chi per giustificare l'imminente attacco all'Iraq. Una guerra che ha fatto un numero di morti tra i civili migliaia di volte superiore a quelli provocati dallo Stato Islamico in queste settimane. La sconfitta del sunnita Saddam Hussein scatenò la popolazione sciita che covava da anni desideri di vendetta. Attentati alle reciproche moschee uccisero migliaia di persone. Da quel giorno in Iraq c'è l'inferno ma i responsabili fanno shopping sulla Fifth Avenue e vacanze alla Caiman. L'avanzata violenta, sanguinaria, feroce dell'ISIS è soltanto l'ultimo atto di una guerra innescata dai partiti occidentali costretti a restituire i favori ottenuti dalle multinazionali degli armamenti durante le campagne elettorali. Comprare F35 mentre l'Italia muore di fame o bombardare un villaggio iracheno mettendo in prevenivo i “danni collaterali” sono azioni criminali che hanno la stessa matrice: il primato del profitto sulla politica.
Cosa fare adesso?
L'ISIS avanza, conquista città importanti e minaccia migliaia di cristiani. In tutto ciò l'esercito iracheno, creato e addestrato anche con i soldi dei contribuenti italiani, si è liquefatto come neve al sole dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, il totale fallimento del progetto made in USA che noi abbiamo sposato senza diritto di parola. E' evidente che la comunità internazionale e l'Italia debbano prendere una posizione. Se non è semplice scegliere cosa fare, anche se delle idee logiche già esistono, è elementare capire quel che non si debba più fare.
1) Innanzitutto occorre mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli USA non ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e povertà. Hanno dichiarato guerra al terrorismo e il risultato che hanno ottenuto è stato il moltiplicarsi del fenomeno stesso. A Roma, nel 2003, manifestammo contro l'intervento militare italiano in Iraq. Uno degli slogan era “se uccidi un terrorista ne nascono altri 100”. Siamo stati profeti anche se non ci voleva un genio per capirlo. Pensare di fermare la guerra in atto in Iraq armando i curdi è una follia che non credo che una persona intelligente come il Ministro Mogherini possa davvero pensare. Evidentemente le pressioni che ha subito in queste settimane e il desiderio che ha di occupare la poltrona di Ministro degli esteri della Commissione europea, l'hanno spinta ad avallare le posizioni di Obama e degli USA ormai autoproclamatisi, in barba al diritto internazionale, poliziotti del mondo. Loro, proprio loro, che hanno sostenuto colpi di stato in tutto il pianeta, venduto armi a dozzine di dittatori, loro che hanno impoverito mezzo mondo, loro che, da soli, utilizzano oltre il 50% delle risorse mondiali. Loro che hanno invaso Iraq e Afghanistan con il pretesto di distruggere le “cellule del terrore” ma che hanno soltanto progettato oleodotti, costruito a Baghdad la più grande ambasciata USA del mondo ed esportato, oltre alla loro democrazia, 25.000 contractors in Iraq, uomini e donne armati di 24ore che lavorano in tutti i campi, dalle armi al petrolio passando per la vendita di ambulanze. La guerra è davvero una meraviglia per le tasche di qualcuno.
2) L'Italia, ora che ne ha le possibilità, dovrebbe spingere affinché la UE promuova una conferenza di pace mondiale sul Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell'ALBA, della Lega araba, l'Iran, inserito stupidamente da Bush nell'asse del male e soprattutto la Russia un attore fondamentale che l'UE intende delegittimare andando contro i propri interessi per obbedire a Washington e sottoscrivere il TTIP il prima possibile. Essere alleati degli USA non significa essere sudditi, prima di applicare sanzioni economiche a Mosca, sanzioni che colpiscono più le imprese italiane che quelle russe, si dovrebbero pretendere le prove del coinvolgimento di Putin nell'abbattimento dell'aereo malese. Non dovrebbe bastare la parola di Washington, soprattuto alla luce delle menzogne dette sull'Iraq.
3) L'Italia dovrebbe promuovere una moratoria internazionale sulla vendita delle armi. Se vuoi la pace la smetti di lucrare sugli armamenti. «L'economia ne risentirebbe» sostiene qualcuno. Balle! Criminalità, povertà e immigrazione sono il frutto della guerra e la guerra si alimenta di sangue e di armi. Nel 2012 la Lockheed Martin, quella degli F35, ha incassato 44,8 miliardi di dollari, più del PIL dell'Etiopia, del Libano, del Kenya, del Ghana o della Tunisia. Chi si scandalizza dei crimini dell'ISIS è lo stesso che lo arma o, quanto meno, che lo ha armato. «Armiamo i curdi» sostiene la Mogherini. Chi ci dice che una volta vinta la guerra i curdi non utilizzeranno quelle armi sui civili sunniti? In fondo non è già successo con Saddam, con i signori della guerra in Afghanistan o in Libia dove la geniale linea franco-americana che l'Italia ha colpevolmente assecondato, ha eliminato dalla scena Gheddafi facendo cadere il Paese in un caos totale?
4) L'Italia dovrebbe trattare il terrorismo come il cancro. Il cancro si combatte eliminandone le cause non occupandosi esclusivamente degli effetti. Altrimenti se da un lato riduci la mortalità relativa da un altro la crescita del numero di malati fa aumentare ogni anno i decessi. E' logico! Vanno affrontate le cause. Si condanna in Nigeria Boko Haram ma si tace di fronte ai fenomeni di corruzione promossi da ENI che impoveriscono i nigeriani dando benzina alle lotte violente dei fondamentalisti.
5) L'Italia dovrebbe porre all'attenzione della comunità internazionale un problema che va risolto una volta per tutte: i confini degli stati. Non sta scritto da nessuna parta che popolazioni diverse debbano vivere sotto la stessa bandiera. Occorre, finalmente, trovare il coraggio di riflettere su un nuovo principio organizzativo. Troppi confini sono stati tracciati a tavolino con il righello dalle potenze coloniali del '900. L'obiettivo politico (parlo dell'obiettivo politico non delle assurde violenze commesse) dell'ISIS, ovvero la messa in discussione di alcuni stati-nazione imposti dall'occidente dopo la I guerra mondiale ha una sua logica. Il processo di nascita di nuove realtà su base etnica è inarrestabile sia in Medio Oriente che in Europa. Bisogna prenderne atto e, assieme a tutti gli attori coinvolti, trovare nuove e coraggiose soluzioni.
6) Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E' triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto ne giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il fenomeno.
7) Occorre legare indissolubilmente il terrorismo all'ingiustizia sociale. Il fatto che in Africa nera la prima causa di morte per i bambini sotto i 5 anni sia la diarrea ha qualcosa a che fare con l'insicurezza mondiale o con il terrorismo di Boko Haram? Il fatto che Gaza sia un lager ha a che fare con la scelta della lotta armata da parte di Hamas?
8) L'Italia dovrebbe cominciare a pensare alla costruzione di una società post-petrolifera. Il petrolio è la causa della stragrande maggioranza delle morti del XX e XXI secolo. Costruire una società post-petrolifera richiederà 40 anni forse ma prima cominci prima finisci. Non devi aspettare che il petrolio finisca. Come disse Beppe Grillo in uno dei suoi spettacoli illuminanti: «L'energia è la civiltà. Lasciarla in mano ai piromani/petrolieri è criminale. Perché aspettare che finisca il petrolio? L’età della pietra non è mica finita per mancanza di pietre»." Alessadro Di Battista
Note:
*Allen Dulle, famoso per aver preso parte alla “Commissione Warren”, la commissione presidenziale sull'assassinio di JFK, fu contemporaneamente direttore della CIA e avvocato delle United Fruit Company, l'attuale Chiquita. Qualche mese prima di aver sostenuto il colpo di stato ai danni di Arbenz si era macchiato della stessa vergogna in Iran. Sotto la sua direzione, infatti, venne lanciata l'Operazione Ajax per sovvertire il governo presieduto da Mohammad Mossadeq, anch'egli colpevole di aver nazionalizzato l'industria petrolifera il che avrebbe garantito introiti per il popolo iraniano e non più per le imprese anglo-americane.
**Anche in quest'ottica va letta l'invasione del Kuwait da parte di Saddam. Non si è trattato di un capriccio di un pazzo.
***Bontade e Teresi sono i due mafiosi che stipularono il “patto di non-aggressione” con Silvio Berlusconi grazie all'intermediazione criminale di Dell'Utri.
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Che cos’è l’ISIS?

Negli ultimi dieci giorni l’Iraq – paese a maggioranza sciita con una storia recente complicata e violenta – è stato conquistato per circa un terzo del suo territorio da uno dei gruppi islamici sunniti più estremisti in circolazione, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, noto anche con la sigla “ISIS”.
Non è la prima volta che in Occidente si sente parlare di ISIS: da più di due anni l’ISIS combatte nella guerra civile siriana contro il presidente sciita Bashar al Assad, e da circa un anno ha cominciato a combattere non solo le forze governative siriane ma anche i ribelli più moderati, creando di fatto un secondo fronte di guerra. L’ISIS è un’organizzazione molto particolare: definisce se stesso come “stato” e non come “gruppo”. Usa metodi così violenti che anche al Qaida di recente se ne è distanziata. Controlla tra Iraq e Siria un territorio esteso approssimativamente come il Belgio, e lo amministra in autonomia, ricavando dalle sue attività i soldi che gli servono per sopravvivere. Teorizza una guerra totale e interna all’Islam, oltre che contro l’Occidente, e vuole istituire un califfato non si sa bene dove: ma i suoi capi sono molto ambiziosi.
Oggi l’ISIS è arrivato a meno di 100 chilometri dalla capitale irachena Baghdad. La sua avanzata, rapida e inaspettata, ha fatto emergere i moltissimi problemi dello stato iracheno e ha intensificato le tensioni settarie tra sciiti e sunniti, alimentate negli ultimi anni dal pessimo governo del primo ministro sciita iracheno Nuri al-Maliki. Per capire l’ISIS – da dove viene, che strategia ha, dove può arrivare – abbiamo messo in ordine alcune cose essenziali da sapere. Che tornano utili per capire che diavolo sta succedendo in Medioriente, e non solo in Iraq e in Siria.
Da dove viene l’ISIS? Che c’entra al Qaida?
Per capire la storia dell’ISIS serve anzitutto introdurre tre personaggi molto noti tra chi si occupa di terrorismo e jihad: il primo, conosciuto da tutto il mondo per gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, è Osama bin Laden, uomo di origine saudita che per lungo tempo è stato a capo di al Qaida; il secondo è un medico egiziano, Ayman al-Zawahiri, che ha preso il posto di bin Laden dopo la sua uccisione in un raid americano ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio 2011; il terzo è Abu Musab al-Zarqawi, un giordano che dagli anni Ottanta e poi Novanta – cioè fin dai tempi della guerra che molti afghani combatterono contro i sovietici che avevano occupato il territorio dell’Afghanistan – era stato uno dei rivali di bin Laden all’interno del movimento dei mujaheddin, e poi anche di al Qaida.
Nel 2000 Zarqawi decise di fondare un suo proprio gruppo con obiettivi diversi da quelli di al Qaida “tradizionale”, diciamo. Al Qaida era nata sull’idea di sviluppare una specie di legione straniera sunnita, che avrebbe dovuto difendere i territori abitati dai musulmani dall’occupazione occidentale (bin Laden aveva invocato come punto di partenza della sua guerra santa il dispiegamento di mezzo milione di soldati statunitensi nella Prima Guerra del Golfo, nel 1990, intervenuti per ricacciare in Iraq l’esercito di Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait). Ma Zarqawi aveva altro in testa: voleva provocare una guerra civile su larga scala e per farlo voleva sfruttare la complicata situazione religiosa dell’Iraq, paese a maggioranza sciita ma con una minoranza sunnita al potere da molti anni con Saddam Hussein.
L’ideologia e la strategia di Zarqawi
L’obiettivo di Zarqawi, che si è definito meglio anche con l’intervento successivo di diversi ideologi jihadisti, era creare un califfato islamico esclusivamente sunnita. Questo punto è molto importante, perché definisce anche oggi la strategia dell’ISIS e ne determina le sue alleanze in Iraq. In un libro pubblicato nel 2004, e scritto dallo stratega jihadista Abu Bakr Naji, è spiegata piuttosto bene la strategia di Zarqawi: portare avanti una campagna di sabotaggi continui e costanti a siti turistici e centri economici di stati musulmani, per creare una rete di “regioni della violenza” in cui le forze 
statali si ritirassero sfinite dagli attacchi e in cui la popolazione locale si sottomettesse alle forze islamiste occupanti.
Nella pratica le cose sono andate così. Nel 2003, solo cinque mesi dopo l’invasione statunitense in Iraq, il gruppo di Zarqawi fece esplodere un’autobomba in una moschea nella città irachena di Najaf durante la preghiera del venerdì: rimasero uccisi 125 musulmani sciiti, tra cui l’ayatollah Muhammad Bakr al-Hakim, che avrebbe potuto garantire una leadership moderata al paese. Fu un attacco violentissimo. Negli anni gli attentati andarono avanti e nel 2004 Zarqawi sancì la sua vicinanza con al Qaida chiamando il suo gruppo Al Qaida in Iraq (AQI): nonostante la differenza di vedute, l’affiliazione garantiva vantaggi a entrambe le parti, per esempio permetteva a bin Laden di avere una forte presenza in Iraq, paese allora occupato dalle forze americane. Nel frattempo, nel 2006, Zarqawi era stato ucciso da una bomba americana, e il suo posto era stato preso da Abu Omar al-Baghdadi (fu ucciso poi nel 2010, e il suo posto fu a sua volta preso da Abu Bakr al-Baghdadi).
L’ISIS di al-Baghdadi e il califfato islamico
Il gruppo di al-Baghdadi subì un notevole indebolimento nel 2007 a seguito del parziale successodella strategia di controinsurrezione attuata nel 2007 in Iraq dal generale statunitense Petraeus, che prevedeva una maggiore vicinanza e solidarietà delle truppe con la popolazione e che contribuì a ridurre le violenze settarie e il ruolo di al Qaida per almeno due anni. La strategia di Petraeus si basava su una collaborazione con le tribù sunnite locali, che mal sopportavano l’estremismo di al Qaida: questa strategia oggi sembra inapplicabile, a causa delle politiche violente e settarie che il primo ministro sciita Nuri al-Maliki ha attuato contro i sunniti negli ultimi quattro anni, compromettendo per il momento qualsiasi possibilità di collaborazione.
Nel 2011 il gruppo ricominciò a rafforzarsi, riuscendo tra le altre cose a liberare un certo numero di prigionieri detenuti dal governo iracheno. Nell’aprile del 2013 AQI cambiò il suo nome in Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), dopo che la guerra in Siria gli diede nuove possibilità di espansione anche in territorio siriano. Il fatto di includere la regione del Levante nel nome del gruppo (cioè l’area del Mediterraneo orientale: Siria, Giordania, Palestina, Libano, Israele e Cipro) era l’indicazione di un’espansione delle ambizioni dell’ISIS, ma non ne spiegava del tutto gli obiettivi finali. Zack Beauchamp ha scritto una lunga e precisa analisi dell’ISIS sul sito di Vox, e tra le altre cose ha provato a capire in quali territori il gruppo ha intenzione di istituire un califfato islamico: con l’aiuto di alcune mappe, Beauchamp ha mostrato come gli obiettivi dell’ISIS siano confusi, mutabili nel tempo ma estremamente ambiziosi (in una, per esempio, tra i territori su cui l’ISIS ambisce a imporre il suo controllo c’è anche il Nordafrica).
Quanti sono, quanto sono cattivi e cosa vogliono, quelli dell’ISIS?
Charles Lister, uno dei più esperti analisti di jihadismo in Siria e Iraq, ha scritto su CNN che l’ISIS in Iraq è formato da circa 8mila uomini, un numero di combattenti insufficienti di per sé a prendere il controllo delle città conquistate negli ultimi dieci giorni nel nord e nell’est dell’Iraq. Infatti l’ISIS non ha fatto tutto da solo, ma si è alleato con le tribù sunnite e con gruppi baathisti (cioè sostenitori del partito Baath, lo stessa cui apparteneva Saddam Hussein) dell’Iraq, che hanno un solo obiettivo in comune con il gruppo di al-Baghdadi: rimuovere dal potere il primo ministro sciita iracheno Nuri al-Maliki. Come ha sintetizzato chiaramente il Washington Post, le città ora sotto il controllo dei ribelli sunniti sono 27.
Lister ha scritto che normalmente alleanze di questo genere – formate da gruppi così diversi – non possono stare insieme a lungo, a meno che non si mantenga un clima di contrapposizione totale. In Iraq questo clima è alimentato, tra le altre cose, anche da una delle caratteristiche distintive dell’offensiva dell’ISIS: la brutalità dei suoi attacchi. La guerra dell’ISIS sembra una “guerra totale” – come dimostra il massacro di soldati sciiti a Tikrit, la città natale di Saddam Hussein. Sul New YorkerLawrence Wright ha descritto così il modus operandi del gruppo:
«Bin Laden e Zawahiri avevano sicuramente una certa familiarità con l’uso della violenza contro i civili, ma quello che non riuscirono a capire fu che per Zarqawi e la sua rete la brutalità – particolarmente quando diretta verso altri musulmani – era il punto centrale dell’azione. L’idea di questo movimento era l’istituzione di un califfato che avrebbe portato alla purificazione del mondo musulmano»
La brutalità dell’ISIS era già stata notata da al Qaida nella guerra in Siria: dalla fine del 2013 il capo di al Qaida, Zawahiri, cominciò a chiedere all’ISIS di rimanere fuori dalla guerra (in Siria al Qaida era già “rappresentata” dal gruppo estremista Jabhat al-Nusra). Al-Baghdadi però si rifiutò e nel febbraio del 2014 Zawahiri “espulse” l’ISIS da al Qaida («Fu la prima volta che un leader di un gruppo affiliato ad al Qaida disubbidiva pubblicamente», ha detto un esponente qaedista). In altre parole l’ISIS si era dimostrata troppo violenta anche per al Qaida, soprattutto perché prendeva di mira non solo le truppe di Assad ma anche altri gruppi dello schieramento dei ribelli sunniti. Alla fine del 2013 l’ISIS, rafforzato dalle vittorie militari in Siria, tornò in Iraq e conquistò le città irachene di Falluja e Ramadi. E poi le altre, negli ultimi dieci giorni.
Come si mantiene l’ISIS? E che possibilità ha di vincere?
A differenza di altri gruppi islamisti che combattono in Siria, l’ISIS non dipende per la sua sopravvivenza da aiuti di paesi stranieri, perché nel territorio che controlla di fatto ha istituito un mini-stato che è grande approssimativamente come il Belgio: ha organizzato una raccolta di soldi che può essere paragonata al pagamento delle tasse; ha cominciato a vendere l’elettricità al governo siriano a cui aveva precedentemente conquistato le centrali elettriche; e ha messo in piedi un sistema per esportare il petrolio siriano conquistato durante le offensive militari. I soldi raccolti li usa, tra le altre cose, per gli stipendi dei suoi miliziani, che sono meglio pagati dei ribelli siriani moderati o dei militari professionisti, sia iracheni che siriani: questo gli permette di beneficiare di una migliore coesione interna rispetto a qualsiasi suo nemico statale o non-statale che sia. Come mostra una mappa risalente al 2006 trovata da Aaron Zelin, ricercatore al Washington Institute for Near East Policy, non si può dire che l’ISIS sia privo di una strategia economica precisa: già diversi anni fa aveva pensato a come sfruttare i giacimenti petroliferi per sostenersi finanziariamente.
In pratica l’ISIS è riuscito finora a massimizzare ciò che gli ha offerto la guerra in Siria. La stessa cosa potrebbe però non ripetersi in Iraq, per almeno due motivi. Il primo è che l’ISIS potrebbe in qualche maniera “fallire” economicamente, perché le sue entrate – che derivano soprattutto da attività illegali a Mosul – potrebbero non essere più sufficienti a sostenere la rapida espansione territoriale di questi ultimi giorni. Una possibilità è che l’ISIS riuscisse a sfruttare il petrolio iracheno come già fa in Siria nelle aree sotto il suo controllo: in Iraq tuttavia le zone che potrebbe plausibilmente conquistare non hanno giacimenti estensive di petrolio, e le infrastrutture necessarie per il suo sfruttamento non sono sviluppate come quelle siriane.
Il secondo è che l’aggravarsi della crisi irachena ha spinto il governo iraniano a organizzare le proprie forze e intervenire. L’Iran ha già mandato in Iraq circa 500 uomini delle forze Quds, il suo più temibile corpo d’élite appartenente alla Guardia Rivoluzionarie (forza militare istituita dopo la rivoluzione del 1979), specializzato in missioni all’estero e già attivo da tempo in Iraq. Le forze Quds sono probabilmente il corpo militare più efficiente dell’intero Medioriente, molto diverse dal disorganizzato esercito iracheno che è scappato da Mosul per non affrontare l’avanzata dell’ISIS. Con l’intervento dell’Iran e di altre milizie sciite che fanno riferimento a potenti leader religiosi sciiti locali, è difficile pensare che l’ISIS possa avanzare ulteriormente verso Baghdad – che tra l’altro è una città a grandissima maggioranza sciita – mentre è più facile che provi a rafforzare il controllo sulle parti di territorio iracheno a prevalenza sunnita che è già riuscito a conquistare (i rischi di un massiccio intervento iraniano in Iraq ci sono eccome, comunque, ne avevamo parlato qui).

giovedì 14 agosto 2014

ECCO PERCHE' BISOGNA MOSTRARE LE FOTO DEI BAMBINI PALESTINESI UCCISI (ASSASSINATI DA ISRAELE)




Questo blog non ha velleità giornalistiche , nel senso più professionale del termine, ma è nato allo scopo di denunciare con la massima obiettività i fatti che avvengono in Palestina. 
Indro Montanelli diceva che non esiste 'la verità' ma 'una verità', ovvero quella che gli occhi del giornalismo possono vedere. Lo sguardo arriva fino a un certo punto e il dovere del cronista è raccontare ciò che vede. Oltre quello sguardo ci può essere un’altra verità che qualcun altro può raccontare o meno a modo suo, deformando in meglio o in peggio l'obiettività reale. 

Io intendo mostrare ogni cosa , non tenendo conto  di potere o meno urtare la sensibilità del lettore, in quanto ritengo estremamente necessario che venga conosciuta e divulgata la pura e cruda verità su questa sporca faccenda che riguarda questa ignobile occupazione perpetrata da Israele ai danni della Palestina, da ben 66  anni

Il mio blog non deve avere paura di mostrare la foto di un bambino morto sotto i bombardamenti israeliani a Gaza poichè la mia coscienza  mi porta a farlo. 

L’informazione mainstream non vuole e non può mostrare alcune foto, perché ogni giorno è piegata alle logiche della politica e della menzogna. I bambini italiani devono sapere che ci sono altri bambini che hanno visto morire i propri genitori, fratelli, parenti e amici. Devono sapere che ci sono altri bambini morti, sepolti sotto le macerie distrutte dalle bombe di Israele. Devono sapere che c’è una logica nazista nell’informazione. Che ci sono morti di serie A e morti di serie B. Morti che nessuno ha il coraggio di mostrare perché c’è il diritto di perseguitare il Popolo palestinese senza che nessun organismo internazionale possa reagire.

In questi anni ho criticato Hamas più di una volta. Ritengo che sia un movimento che non ha prospettiva politica e che la Resistenza, legittima davanti alle continue violazioni di Israele nei confronti della Palestina e del suo Popolo, a un certo punto debba trovare un punto di svolta. Quel punto di svolta è arrivato con il consenso di tutti: il governo di unità nazionale con al Fatah. Un punto di svolta che non è piaciuto a Israele e al suo premier. Netanyahu, fin dall’inizio, ha deciso che quello storico accordo doveva fallire e ha lavorato affinché si arrivasse a questo punto. Serviva un pretesto. E l’ha trovato: il rapimento e la morte di tre giovani coloni ebrei. Un crimine orrendo. Nessuno può gioire per quello che è successo. La verità è che non c’è nessuna prova che il responsabile di quell’azione sia Hamas. L’unica rivendicazione, taciuta da tutti, è arrivata da un movimento jihadista palestinese. Il governo di Israele ha avuto il pretesto che voleva e ha risposto con una repressione che vìola tutte le regole del diritto internazionale (NdA: Nel momento in cui Aramu scrive questo articolo non era ancora trapelata la notizia dell'incidente stradale dei tre coloni ... http://popoffquotidiano.it/2014/07/11/dietro-al-rapimento-dei-3-studenti-spunta-la-mano-di-netanyahu/).

In Cisgiordania avvengono regolarmente rastrellamenti che ricordano purtroppo le azioni peggiori degli eserciti occupanti nelle guerre di mezzo mondo. Qui, inoltre, c’è un fattore etnico e religioso che aggrava la situazione. Un esercito occupante di uno Stato che continua a costruire insediamenti e colonie al di fuori di qualunque regola. Ma il diritto internazionale è carta straccia. Il diritto è soltanto la piega con la quale il più forte impone una condotta al più debole. Distruggere le case dei palestinesi e occupare le loro terre, anche quando non arrivano missili e non ci sono azioni armate, è diventato il contrappeso di una difesa alla sicurezza dello Stato di Israele che nessuno può contrastare. Il mondo resta a guardare. L’informazione si piega a quel mondo assente e distratto.

I raid di Israele non c’entrano nulla con i missili di Hamas. Le bombe su Gaza non c’entrano nulla con il rapimento e l’uccisione dei tre giovani coloni ebrei. No, questo nuovo “Piombo Fuso” è la reazione di Israele, dei suoi falchi, della destra ultraconservatrice razzista e nazista, al governo di unità, a quell’esecutivo che anche gli Stati Uniti hanno riconosciuto e sostenuto. Il premier Netanyahu, così come è accaduto con l’Iran, è rimasto solo, con le spalle al muro. Aveva un solo modo per uscire dall’angolo: bombardare Gaza e cercare di annientare con la violenza Hamas. Per fare questo ha voluto passare attraverso i corpi dei civili. E quei corpi, che piaccia o meno, sono spesso quelli dei bambini che l’informazione mainstream non vuole mostrare. Non si mostrano perché l’opinione pubblica non deve sapere.

Noi quei corpi li mostriamo. Perché un bambino ebreo vale quanto un bambino palestinese. Abbiamo mostrato la foto dei tre coloni ebrei come quello del giovane palestinese bruciato vivo da “ultrà” israeliani. La morte bisogna guardarla in faccia. Anche quando è deforme e procura orrore. I numeri non sono cifre. I numeri non sono altro che sentimenti di persone che si spezzano, di storie e drammi che uno scatto a volte racconta meglio di qualunque scritto.

Io non sono contro Israele. Io sono contro la politica di Israele. Sono contro Netanyahu e la sua politica fascista. Lui è il vero nemico di Israele e di quei tanti ragazzi ebrei che negli ultimi mesi si sono rifiutati di fare la guerra ai palestinesi e di arruolarsi sotto l’insegna della stella di David. In Israele c’è tanta gente che non ne può più di questo governo. Gente che ritiene il proprio premier più pericoloso dei missili di Hamas. Pochi giornalisti hanno il coraggio di raccontare questa parte di Israele. Gli altri sono piegati alla logica della politica e della disinformazione.

C’è una regola nel diritto, anche internazionale: la proporzione tra azione e reazione. L’offesa di Hamas, se c’è stata, non è comparabile con l’assurda reazione di Israele. I numeri in questo caso, solo in questo, sono cifre: da una parte 70 morti, fra cui solo 2 civili, dall’altra un numero crescente di vittime e feriti, ad oggi circa 2000 morti e 9000 feriti. È chiaro: Israele non vuole fermare Hamas, vuole annientare il popolo palestinese. Lo ha fatto in silenzio con i nuovi insediamenti. Lo fa oggi con il fragore delle bombe.

Quelle bombe hanno un volto. Tanti volti. Quelli dei bambini uccisi da Netanyahu.

Ecco perché li mostro.

mercoledì 6 agosto 2014

Fidel Castro Ruz - Genocidio a Gaza

Cuba, 5 Ago 2014    
 “Di nuovo chiedo a Granma di non usare lo spazio della prima pagina per queste righe, relativamente brevi, sul genocidio che si sta commettendo coi palestinesi.  
Le scrivo velocemente solo per lasciare costanza su quello che si deve meditare profondamente.
Penso che una nuova e ripugnante forma di fascismo sta sorgendo con una forza considerabile in questo momento della storia umana, nel quale si sforzano per la propria sopravvivenza più di sette mila milioni di abitanti.
Nessuna di queste circostanze è relazionata con la creazione dell’impero romano circa 2400 anni fa o con l’impero nordamericano che in questa regione del mondo, appena 200 anni fa, è stato descritto da Simon Bolivar quando ha esclamato che: “…gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a piagare l’America di miserie in nome della Libertà”.
L’Inghilterra è stata la prima reale potenza coloniale che ha utilizzato i suoi domini su gran parte dell’Africa, del Medio Oriente, dell’Asia, dell’Australia, dell’America Settentrionale, e molte delle isole delle Antille, nella prima metà del XX secolo.
Non parlerò in questa occasione delle guerre e dei crimini commessi dall’impero degli Stati Uniti durante più di cento anni, bensì solo ricordare quello che ha voluto fare con Cuba, quello che ha fatto con molti altri paesi nel mondo e solo è servito per provare che “un’idea giusta dal fondo di una grotta può vincere un esercito”.
La storia è molto più complicata di tutto quello che si è detto, ma è così, a grandi tratti, come l’hanno conosciuta gli abitanti della Palestina ed è logico inoltre che nei mezzi moderni di comunicazione si riflettano le notizie che arrivano giornalmente, così è successo con la vergognosa e criminale guerra della Striscia di Gaza, un pezzo di terra dove vive la popolazione di quello che è rimasto della Palestina indipendente, fino a mezzo secolo fa.
L’agenzia francese AFP ha informato il 2 agosto: “la guerra tra il movimento islamista palestinese Hamas ed Israele ha causato la morte di circa 1.800 palestinesi [...] la distruzione di migliaia di edifici e la rovina di un’economia già di per sé indebolita”, benché non segnali, naturalmente, chi ha iniziato la guerra terribile.
Poi aggiunge: “… il sabato a mezzogiorno l’offensiva israeliana aveva ammazzato 1.712 palestinesi e ne aveva feriti 8.900. Le Nazioni Unite hanno potuto verificare l’identità di 1.117 morti, nella loro maggioranza civili [...] l’UNICEF ha riportato almeno 296 minorenni morti. Le Nazioni Unite hanno verificato che [...] (circa 58.900 persone) sono senza casa nella Striscia di Gaza”.
“Dieci dei 32 ospedali hanno chiuso ed altri undici sono stati danneggiati”.
“Questo territorio palestinese di 362 km² non dispone neanche delle infrastrutture necessarie per i 1,8 milioni di abitanti, soprattutto in termini di distribuzione di elettricità e di acqua”.
“Secondo il FMI, il tasso di disoccupazione sorpassa il 40% nella Striscia di Gaza, territorio sottomesso dal 2006 ad un blocco israeliano. Nel 2000, la disoccupazione colpiva il 20% e nel 2011 era di un 30%. Più del 70% della popolazione dipende dall’aiuto umanitario in tempi normali, secondo Gisha”.
Il governo di Israele dichiara una tregua umanitaria a Gaza alle 07:00 GMT di questo lunedì, e tuttavia, dopo poche ore ha rotto la tregua attaccando una casa nella quale 30 persone, in maggioranza, donne e bambini, sono state ferite e tra loro una bambina di otto anni che è stata assassinata.
All’alba di questo stesso giorno, 10 palestinesi sono morti come conseguenza degli attacchi israeliti in tutta la Striscia e già il numero di palestinesi assassinati è aumentato quasi a 2000.
Il massacro dei palestinesi è arrivato al punto tale che il ministro degli Affari Esteri della Francia, Laurent Fabius, ha annunciato questo lunedì che “il diritto di Israele alla sicurezza non giustifica il massacro di civili che sta perpetrando”.
Il genocidio dei nazisti contro gli ebrei ha mietuto l’odio di tutti i popoli della terra. Perché il governo di questo paese crede che il mondo sarà insensibile a questo genocidio macabro che oggi si sta commettendo contro il popolo palestinese? Per caso si aspetta che si ignori quanto c’è di complicità da parte dell’impero nordamericano in questo massacro svergognato?
La specie umana vive una tappa nella storia senza precedenti. Uno scontro di aeroplani militari o imbarcazioni da guerra che si vigilano strettamente o altri fatti simili, possono provocare una contesa con l’impiego delle sofisticate armi moderne che si trasformerebbe nell’ultima avventura del conosciuto Homo sapiens.
Ci sono fatti che riflettono l’incapacità quasi totale degli Stati Uniti di affrontare i problemi attuali del mondo. Possiamo dire che non esiste un governo in questo paese, né il Senato, né il Congresso, né la CIA o il Pentagono che determineranno la conclusione finale. È triste realmente che ciò succeda quando i pericoli sono maggiori, ma anche le possibilità di proseguire.
Quando la Grande Guerra Patria i cittadini russi hanno difeso il loro paese come gli spartani; sottovalutarli è stato il peggiore errore degli Stati Uniti e dell’Europa. I suoi alleati più vicini, i cinesi, che come i russi hanno ottenuto la loro vittoria a partire dagli stessi principi, costituiscono oggi la forza economica più dinamica della terra. I paesi vogliono yuan e non dollari per acquistare beni e tecnologie ed incrementare il loro commercio.
Sono sorte nuove ed imprescindibili forze. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, i cui vincoli con l’America Latina, la maggioranza dei paesi dei Caraibi e dell’Africa, che lottano per lo sviluppo, costituiscono la forza nella nostra epoca che è disposta a collaborare col resto dei paesi del mondo senza escludere gli Stati Uniti, Europa, Giappone.
Incolpare la Federazione Russa della distruzione in pieno volo dell’aeroplano malese è di un semplicismo riducente. Né Vladimir Putin, né Serguei Lavrov, ministro di Relazioni Estere della Russia, né gli altri dirigenti di questo Governo provocherebbero mai un simile sproposito.
Ventisei milioni di russi sono morti nella difesa della Patria contro il nazismo. I combattenti cinesi, uomini e donne, figli di un paese di cultura millenaria, sono persone di un’intelligenza privilegiata e con uno spirito di lotta invincibile, e Xi Jinping è uno dei leader rivoluzionari più fermo e capace che ho conosciuto nella mia vita.
Fidel Castro Ruz
4 agosto 2014
10: 45 p.m”.
traduzione di Ida Garberi

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