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mercoledì 19 febbraio 2014

MAHMOUD DARWISH (poeta)

POETA STRANIERO IN TERRA PROPRIA - Nota biografica tratta da "il letto della straniera"
CHIRINE HAIDAR, nata in Libano, è traduttrice e interprete per numerose istituzioni governative in Italia e all'estero. Vive a Roma, dove è docente di traduzione e interpretariato presso la Libera Universita degli Studi S. Pio V.
«Questa non è una canzone», disse mio padre, «questa è una poesia e chi l'ha scritta è un poeta: si chiama Mahmud Darwish». Poi andò a cercarla all'interno di un voluminoso libro rosso, pubblicato da Dar al-Awda, che era una raccolta delle prime opere di Darwish. Così scoprii che le canzoni che avevo iniziato a canticchiare dopo averle sentite dalla voce di Marcel Khalife, che a Darwish dedicò tanta musica e tanto affetto condiviso da milioni di arabi «dall’oceano al golfo», come si soleva dire, erano poemi. Così scoprii la poesia.
Erano le composizioni del poeta palestinese, applaudite già dall’esordio all'«interno», come si diceva allora e come, forse, si dice meno adesso.L'interno era la Palestina, dove Darwish nacque il 13 marzo 1941 in un villaggio della Galilea, al-Birweh, in prossimità di Acri, in una famiglia che viveva del lavoro della terra che possedeva. Nel 1948 la famiglia fu costretta a esiliarsi in Libano, dove passò un anno per poi tornare in segreto nel 1949, dopo la creazione dello Stato di Israele. Il villaggio però era stato raso al suolo e al suo posto erano stati costruiti un moshav (comunità cooperativa agricola) e un kibbutz mentre loro, figli di al-Birweh, non avevano più né casa né identità. A quel punto, Darwish si trasferì con la sua famiglia nel villaggio di al-Jedide.
Alla fine degli studi liceali a Kfar Yasif si iscrisse al partito comunista israeliano e lavorò per «al-Ittihad», il giornale del partito, e per la testata «al-Jadid», di cui più tardi diventò caporedattore. Nel 1967 fu arrestato dagli israeliani a causa della sua poesia Carta d'identità, considerata sovversiva dalle autorità occupanti.
Nel 1970 abbandonò definitivamente la Palestina/Israele per un periodo di studio in Unione Sovietica, dove si costruì una solida preparazione linguistico-letteraria.
In seguito trascorse la sua vita risiedendo nelle principali città del mondo arabo: Il Cairo, Beirut, Amman. A Beirut diresse un mensile («Affari Palestinesi»), poi diventò direttore della rivista letteraria palestinese «al-Karmel».
Visse a Beirut fino al 1982. La casa tremava. Era iniziata l'invasione israeliana del Libano: migliaia di raid aerei, migliaia di morti; l'OLP esce da Beirut e con essa Mahmud Darwish.
Dopo un periodo di esilio a Cipro, visse tra Beirut e Parigi, dove nel 1986 scrisse l'epopea del 6 agosto 1982, quando le bombe israeliane cominciarono a piovere su Beirut, in Una memoria per l'oblio. Lavorò anche al Cairo presso il quotidiano nazionale «al-Ahram».
Nel 1987 fu eletto nel Comitato Esecutivo dell'OLP, successivamente scrisse il testo della Dichiarazione d'Indipendenza dello Stato Palestinese, documento promulgato nel 1988. Nel 1993, dopo il raggiungimento degli accordi di Oslo, si dimise dal Comitato Esecutivo.
Nel 1996, dopo ventisei anni di esilio, ottenne un permesso per visitare la sua famiglia nello stato di Israele e nello stesso periodo stabili la propria residenza tra Ramallah e Amman.
mahmoud darwish press2Negli ultimi anni si dedicò assiduamente alla poesia componendo numerose raccolte, nelle quali continuò a cantare I luoghi che amava descrivendo minuziosamente una roccia, una collina, un colore e provocando diverse gelosie, tra cui quella dell'ex premier israeliano Sharon, che gli invidiava la descrizione della patria amata.
Poi morì. Il cuore gli cedette il 9 agosto 2008 negli Stati Uniti (di cuore era già stato operato, una prima volta nel 1984 e una seconda nel 1998, dopo la quale scrisse il poema Murale, nel 2000, un magnifico dialogo con la morte).
Faceva caldo quel giorno, a Beirut, e qualcuno aveva incollato qua e là, senza tappezzare volgarmente i muri, delle foto di un uomo dal sorriso discreto. Un uomo elegante che non richiedeva nessuna leggenda, nessuna presentazione.
Ne strappai una, la portai a casa e piansi.
LE POESIE  
Solo una minima parte della sua produzione è stata, fino ad ora, tradotta in italiano. Vi offriamo un breve assaggio di alcune delle sue poesie.

Ci mancava un presente


Andiamocene come siamo:
una signora libera
e un amico fedele.
Andiamocene su due strade diverse,
andiamocene come siamo, uniti
e separati.
Nulla ci fa male,
non il divorzio delle colombe,
né il freddo alle mani
o il vento intorno alla chiesa.
I mandorli non sono abbastanza in fiore,
sorridi e fioriranno di più
tra le farfalle delle tue fossette.

Presto avremo un altro presente.
Se ti volti, dietro di te
non vedrai che esilio:
la tua camera da letto,
il salice della piazza,
il fiume dietro gli edifici di vetro,
il caffè dei nostri appuntamenti… tutti, tutti
pronti a mutarsi in esilio.
E allora siamo buoni!

Andiamocene come siamo:
una donna libera
e un amico fedele ai suoi flauti.
Non bastava la nostra età per invecchiare insieme,
andare al cinema con passo stanco,
vedere l’epilogo della guerra tra Atene e le sue vicine
e assistere alle celebrazioni di pace tra Roma e Cartagine.
Presto gli uccelli lasceranno un tempo per un altro.
Che sia stato vano questo cammino
ammantato di senso? Ci ha condotti
in un viaggio effimero tra due miti?
Come se fosse necessario, come se fossimo necessari:
uno straniero che vede se stesso negli specchi della sua
      straniera.
«No, non è questa la strada verso il mio corpo».
«Nessuna soluzione culturale ai crucci esistenziali».
«Ovunque tu sia, il mio cielo e vero».
«Chi sono io per restituirti il sole e la luna precedenti?».
E allora siamo buoni…

Andiamocene come siamo:
un'amante libera
e il suo poeta.
La neve di dicembre non è caduta abbastanza,
sorridi e cadrà a fiocchi sulle preghiere del cristiano.
Presto torneremo al nostro domani dietro di noi,
quando eravamo due bambini all’inizio dell’amore
e giocavamo a Romeo e Giulietta
per imparare il lessico di Shakespeare...

Le farfalle si sono involate dal sonno
come il miraggio di una rapida pace,
che ci incorona con due stelle
e ci condanna a morte nel conflitto per il nome
tra due finestre.
E allora andiamocene,
siamo buoni.

Andiamocene come siamo:
una donna libera
e un amico fedele,
andiamocene come siamo.
Venuti con il vento da Babilonia,
a Babilonia torniamo...
Non bastava il viaggio
affinché, sulle mie tracce, i pini si tramutassero
in parole d’elogio del luogo meridionale.
Qui, siamo buoni. Del nord il nostro vento
e del sud le canzoni,
Sono un’altra te?
E tu, un altro me?
Non e questa la strada verso la terra della mia libertà,
la strada verso il mio corpo,
e io non sarò io per due volte
ora che il mio passato ha sostituito il mio futuro
e mi sono scissa in due donne.
Non sono orientale
né occidentale
e non sono un ulivo che ha ombreggiato due versetti.
E allora andiamocene.
«Nessuna soluzione collettiva alle ossessioni personali».
Non bastava essere insieme
per essere insieme...

Ci mancava un presente per vedere
dove eravamo. Andiamocene come siamo,
una donna libera
e un vecchio amico.
Andiamocene insieme su due strade diverse.
Andiamocene insieme
e siamo buoni...

Cielo basso


C’è un amore che cammina su piedi di seta,
felice del suo esilio nelle strade.
Un amore piccolo e povero bagnato da una pioggia passeggera,
e si riversa sui passanti:
i miei doni sono più grandi di me,
mangiate il mio grano,
bevete il mio vino,
perché porto il cielo sulle spalle e la mia terra è vostra...

Hai annusato il sangue del gelsomino indiviso
e pensato a me?
Aspettato in mia compagnia un uccello dalla coda verde
e senza nome?

C’è un amore povero che fissa il fiume
e si abbandona alle evocazioni: Dove corri,
cavalla d’acqua?
Presto il mare ti assorbirà.
E allora va' lenta incontro alla tua morte scelta,
cavalla d'acqua!

Eri le mie due rive
quando il luogo era come doveva essere,
lieve lieve per i tuoi ricordi?
Quali sono le canzoni che ami,
quali sono? Quelle che cantano
la sete d'amore
o il tempo che fu?

C’è un amore povero e non condiviso,
quieto quieto, che non infrange
il vetro dei tuoi giorni privati
né attizza il fuoco di una luna fredda
nel tuo letto.
Di lui non ti accorgi quando un’ossessione, forse in sua
      vece, ti fa piangere.
Non sai cosa senti quando prendi tra le braccia solo te
      stessa!
Quali notti desideri, quali notti?
E qual è il colore degli occhi che sogni,
quando sogni?
C’è un amore povero e condiviso,
che riduce il numero dei disperati
e innalza il trono delle colombe sui due lati.
Dovrai condurre tu
questa rapida primavera verso chi ami.
Quale tempo desideri, quale tempo?
Che io ne sia il poeta, così e così... Ogni volta
che una donna se ne va, la sera, verso il suo segreto,
trova un poeta che cammina nelle sue ossessioni.
E ogni volta che un poeta si immerge nel proprio intimo,
trova una donna che si denuda davanti al suo poema...
Quale esilio desideri?
Vieni con me o te ne andrai da sola nel tuo nome,
come un esilio che ne incorona un altro
con tutte le sue gemme?

C'è un amore che ci attraversa
senza che ce ne accorgiamo.
Lui non sa e noi non sappiamo
perché una rosa in un vecchio muro ci disperde,
perché una ragazza in lacrime alla fermata dell'autobus
sgranocchia una mela, piange ancora e poi ride:
Non è nulla, è soltanto
un’ape che mi ha trafitto il sangue.

C'è un amore povero che contempla
a lungo i passanti e sceglie
il più giovane come luna: Hai bisogno
di un cielo più basso.
Diventa mio amico e potrai contenere
l'egoismo di due che non sanno a chi regalare i loro fiori...
Forse parlava di me, forse
di noi, ma non lo sapevamo.

C'è un amore...
PENSA AGLI ALTRI

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

Camminiamo sul ponte

Sei colpita, come me, dal viaggio dell’uccello.
E accade di pomeriggio
quando dici: Portami al fiume,
straniero, al fiume portami
ché lunga è la mia strada sulle tue rive.

E ascoltiamo ciò che dicono i passanti
sul ponte:
«Ho da fare».
«Ho un posto sulla nave».
«Ho una parte di vita».
«Io invece devo prendere l’ultimo treno».
«Sono in ritardo all’appuntamento con i miei ricordi,
      con il sassofono,
e le mie notti sono brevi».

E ascoltiamo la parte di nostalgia nascosta in noi
per una via misteriosa: Laggiù ho la mia vita,
la vita che hanno fatto le carovane prima di partire.
E qui ho la mia vita a misura del mio pane,
i miei interrogativi su un destino torturato da un presente
      di passaggio e ho
un domani disordinato e bello.
Eco all’eco. Chi di noi ha pronunciato queste parole, io
o la straniera? Nessuno torna
da qualcuno. L’eternità confeziona
i suoi manufatti con i nostri destini e vive a lungo...
Che l'amore sia una forma di mistero e
il mistero una forma d'amore? Mi stupisce
chi, pur conoscendo l'amore, ama ancora!
Ché in noi l'amore potrebbe stancarsi di aspettare e ammalarsi,
ma non dirà una parola.

Il nostro domani ha tempo, abbastanza
per camminare altri dieci minuti sul ponte.
Presto potremmo cambiare e dimenticare le fattezze
della nostra terza compagna, la morte. Dimenticare la strada
      di casa
nei pressi di un cielo che tanto ci ha delusi.
Portami al fiume, straniera,
presto potremmo cambiare e l’impossibile
avverarsi.

Come nella scrittura, l'essenziale arriva
a suo tempo, luna femminile che colma il vuoto
del poema. Non mi abbandonare del tutto
e non prendermi del tutto. Metti al posto giusto
il giusto tempo. Sei la via e sei la guida.

Paesi reali, non metafore, le tue braccia
intorno a me... Laggiù, vicino al Libro sacro,
o qui. Chi di noi ha detto: Se trionfasse la poesia, la lingua
      potrebbe preservare la terra dall'assenza?
Chi di noi ha detto: Dimenticherò e perdonerò
al cuore più d'uno sbaglio fino a che durerà
questo viaggio...?

La tua notte è di lillà

La notte si accomoda dove sei tu. La tua notte
è di lillà. Ogni tanto un segno scappa
dai raggi delle tue fossette, infrange la coppa di vino
e accende la luce delle stelle. La tua notte é la tua ombra,
una terra leggendaria per l’uguaglianza tra
i nostri sogni. lo non sono il viaggiatore né il residente
della tua notte lillà, sono colui che un giorno fu me.
Ogni volta che la notte si dissipa in te, intuisco
il vacillare del cuore: non se ne soddisfa l’essere, né l’anima.
E nei nostri corpi un cielo abbraccia una terra. E sei tutta
la tua notte... Una notte che risplende come l’inchiostro
      dei pianeti. Una notte,
a detta della notte, che striscia nel mio corpo indolente
come la sonnolenza delle volpi. Una notte che trasuda un
      mistero luminoso sulla mia lingua. E piu si precisa,
più temo il domani nel pugno della mano.
Una notte che scruta se stessa,
sicura e rassicurata dalla propria infinitezza,
appena sfiorata dal suo specchio e dai canti degli antichi
      pastori
per l’estate di imperatori malati d’amore.
Una notte che ha mosso i primi passi nella poesia
preislamica, sui capricci di Imru’ al-Qays1 e degli altri,
e ha allargato ai sognatori il cammino del latte
verso una luna affamata ai confini delle parole…

Come lo straniero si ritrova nello straniero

Noi due siamo uno in due.
Non abbiamo nome, straniera, quando
lo straniero si ritrova nello straniero. Attingiamo la forza
dell'ombra dal nostro giardino dietro di noi.
Svela
ciò che ti pare della terra della tua notte e nascondi,
ciò che ti pare. Siamo accorsi dal tramonto di due luoghi
e abbiamo cercato insieme
i nostri indirizzi: Va' dietro la tua ombra,
a oriente del Cantico dei cantici, pastorella dei galli cedroni,
troverai una stella che ha abitato la sua morte.
Scala una montagna abbandonata,
troverai uno ieri che completa il suo ciclo nel mio domani.
Troverai dove eravamo e dove saremo.
Noi due siamo uno in due.
Va' al mare, a occidente del tuo libro,
e tuffati lieve lieve come se portassi
la tua anima alla sua nascita tra due onde,
troverai una foresta di alghe marine e un cielo
verde d'acqua. Tuffati lieve
lieve come se fossi nulla in tutto
e ci troverai insieme...
Noi due siamo uno in due.
Ci resta da vedere come eravamo qui, straniera,
due ombre che sbocciano e si chiudono su ciò che ha preso forma
dalla nostra forma: un corpo che scompare e riappare
in un altro che scompare nell’ambigua dualità
eterna. Ci resta da tornare in due
per abbracciarci ancora. Non abbiamo nome, straniera,
quando lo straniero si ritrova nello straniero!

Una nuvola di Sodoma

Dopo la tua notte, la notte dell'ultimo inverno,
il lungomare si è svuotato delle guardie,
nessun'ombra mi segue da quando la tua notte si è prosciugata
al sole della mia canzone. Chi mi dirà
ormai: Lascia il giorno passato e sogna con tutto
il tuo inconscio libero?
La mia libertà siede ora accanto a me, con me,
sulle mie ginocchia come il gatto di casa. Mi fissa
e fissa
ciò che mi hai lasciato ieri sera: il tuo scialle
lillà, una cassetta di Balla coi lupi e una collana
di gelsomino sul muschio del cuore...

Che farà la mia libertà dopo la tua notte,
la notte dell’ultimo inverno?
Una nuvola è partita da Sodoma verso Babele
centinaia di anni fa, ma Paul Celan, il suo poeta,
si è suicidato oggi nella Senna.
Non mi porterai più al fiume.
Nessuna guardia mi chiederà:
Come ti chiami, oggi?
Non malediremo
la guerra. Non malediremo la pace. Non scavalcheremo
il muro del giardino in cerca della notte tra due salici
e due finestre, e non mi chiederai:
Quand'è che la pace aprirà la nostra fortezza alle colombe?

Dopo la tua notte, la notte dell’ultimo inverno,
i soldati hanno insediato il loro accampamento in un luogo lontano,
una luna bianca si è posata sul mio balcone
e mi sono seduto insieme alla mia libertà a fissare in silenzio
      la nostra notte.
Chi sono? Chi sono dopo la tua notte,
la notte dell’ultimo inverno?

Due cerbiatti gemelli

La sera, sulle lentiggini di luce tra i tuoi seni,
ieri e domani mi si avvicinano.
Esisto come dovrebbe esistere il poema...
La notte nasce sotto la tua coperta e l'ombra
è perplessa, qui e laggiù,
tra le tue rive e le parole che ci hanno riportato al loro
      timbro:
«Ho passato la mano destra sui suoi capelli,
la sinistra sui due cerbiatti gemelli di una cerva
e siamo andati alla nostra notte privata...».
Sei davvero qui? O sono un amante precedente
in cerca di notizie sul suo passato?
Dormi sulla tua anima serena
tra i fiori delle lenzuola. Dormi, una mano sul mio petto
e l'altra sulla lanugine che spunterà ai piccoli dei gabbiani.
Dormi come converrebbe al giardino
circostante... ci siamo riempiti di uno ieri,
riempiti dell'ossessione di una chitarra senza letto.
O quella... giovane meticcia che ha seguito la sua ombra!
Quella... passione che strappa
i petali di rosa sparsi intorno al recinto!
Dormi sul mio respiro, come secondo respiro prima
che lo ieri spalanchi la mia finestra. Non ho
uccello nazionale, né alberi nazionali, né un fiore
nel giardino del tuo esilio. Ma io - e il mio vino
viaggia con me - condividerò con te ieri e domani.
Senza di te, senza la pioggerella che scintilla sulle lentiggini
di luce tra i tuoi seni, la mia lingua
avrebbe deviato dalla sua femminilità. O come io e tua madre la poesia
e i tuoi figli sonnecchiamo sui cerbiatti gemelli di una cerva!

Terra della straniera terra della serenità

In me, come in te, una terra sull'orlo
di una terra popolata di te o della tua assenza. Non conosco
le canzoni che singhiozzi quando cammino
nella tua nebbia. Che la terra sia
ciò che evochi... e fai.

Meridionale,
non smette di girare su se stessa
e intorno a te. Ha due appuntamenti frettolosi intorno
al cielo: l'inverno e l'estate.
Quanto alla primavera e ai suoi umori, riguardano
soltanto te.
Cammina verso qualsiasi donna in te
e la margherita
fiorirà su ogni finestra della città.

Dotata,
come l'estate del piccolo principe.
Quanto all'autunno e alla sua interpretazione come oro
stanco, riguarda soltanto me quando do il mio pane agli
uccelli delle chiese.
E mentre cammini tra le statue, dimentico la libertà
della pietra marmorea e seguo
il profumo dei mandarini.

Viaggiatrice,
intorno alla sua immagine nei tuoi specchi:
«Non ho madre, figlia mia, generami qui».
Così la terra affida a un corpo il suo segreto
e sposa la femmina con il maschio. Portami
a lei, a te, a me. Laggiù, qui. Dentro
di me, fuori di me. E portami, ché la mia anima
abbia fiducia in te
e io abiti la terra della serenità.

Celeste,
non ho nulla da dire sulla terra in te,
tranne ciò che dice lo straniero: Celeste...
Forse gli stranieri non sanno pronunciare le lettere aramaiche,
forse plasmano i loro dèi con materie
primitive raccolte in riva al fiume,
ma cantano alla perfezione: Celeste
è questa terra come nuvole leggere
evaporate da un gelsomino.

Metaforica,
come il poema prima della scrittura: «Non ho padre,
figlio mio, generami» mi dice la terra
quando passo, leggero,
nella notte del tuo cristallo scintillante tra le farfalle.
Non c'è sangue sugli aratri. Verginità che si rinnova.
Non c’è nome per ciò che dovrebbe essere la vita,
tranne quello che hai fatto della mia anima
e farai...

Nè più nè meno

Sono donna. Né più né meno.
Vivo la mia vita com’è,
filo dopo filo,
e tesso la mia lana per coprirmi, non
per completare il racconto di Omero o il suo sole.
E vedo ciò che vedo
com’è, nella sua forma.
Ma fisso talvolta
la sua ombra
per sentire il polso della perdita,
e scrivo domani
sui fogli di ieri: non c’è voce
tranne l'eco.
Amo il mistero necessario nelle
parole del viandante notturno che va
verso ciò che è sparito
degli uccelli sui pendii delle parole
e sui tetti dei villaggi.
Sono donna. Né più né meno.

Il fiore di mandorlo
in marzo m'invola dal mio balcone
con la nostalgia per ciò che dice il lontano:
«Toccami, ché io porti i miei cavalli all’acqua
delle fonti».
Piango senza motivo e ti amo,
amo te come sei, non per calcolo o interesse.
E il giorno sorge su di te dalle mie spalle
e quando ti abbraccio, una notte scende su di te.
Ma non sono né l’uno né l'altra
no, non sono né sole né luna.
Sono donna. Né più né meno.

Sii dunque il Qays della nostalgia,
se vuoi. Quanto a me,
mi piacerebbe essere amata come sono,
non foto a colori sul giornale né
idea messa in musica nel poema tra i mufloni...
Sento il grido lontano di Leyla
dalla camera da letto: «Non lasciarmi
prigioniera di una rima nelle notti delle tribù,
non lasciarmi da loro come un racconto...».
Sono donna. Né più né meno.

Sono ciò che sono
come tu sei ciò che sei: abiti in me
e io abito in te, verso di te e per te.
Amo la chiarezza necessaria al nostro mistero condiviso.
Sono tua quando trabocco dalla notte.
Ma non sono una terra
né un viaggio.
Sono donna. Né più né meno.

E mi stanca
la rotazione della luna femminile
e la mia chitarra si ammala
corda
dopo corda.
Sono donna.
Né più
né meno.

Due uccelli stranieri nel nostro piumaggio

Grigio è il mio cielo. Grattami la schiena, straniero,
e sciogli lentamente le mie trecce.
Dimmi a cosa pensi. Dimmi cosa è passato
per la mente di Giuseppe. Dimmi qualche parola
semplice... di quelle che a una donna
piace sempre sentire. Non richiedo tutta l'espressione.
Mi accontenterò di un segno che mi semina
nel volo delle farfalle, tra le sorgenti e il sole.
Dimmi che ti sono necessaria
quanto il sonno, non perché
la natura rigurgiti d’acqua intorno
a te, intorno a me. E stendi su di me
un'ala di azzurro infinito...
Grigio è il mio cielo,
grigio come una lavagna vergine.
Scrivi con l'inchiostro del mio sangue
una cosa qualunque
per cambiarla: una parola... due...
senza troppe pretese. E di'
che siamo due uccelli stranieri in terra
d'Egitto e di Sham.
Di' che siamo due uccelli stranieri
nel nostro piumaggio. E scrivi il mio nome
e il tuo sotto l'espressione. Che ore sono?
Qual è il colore del mio viso e del tuo
negli specchi nuovi?
Non possiedo più nulla
che mi somigli. La signora dell'acqua
ti ha amato di più? Ti ha sedotto
sulla roccia del mare? Confessa
che hai prolungato la tua erranza
di vent'anni
per rimanere prigioniero delle sue mani.
E dimmi a cosa pensi
quando il cielo diventa grigio...
Grigio è il mio cielo.
Ormai somiglio a ciò che non mi somiglia.
Vuoi tornare alla notte del tuo esilio
nei capelli di Huriyya?
Ai fichi di casa tua?
Non c'è miele che ferisca lo straniero,
qui o laggiù. Che ore sono adesso?
Come si chiama questo luogo?
Qual è la differenza tra il mio cielo e la tua terra?
Dimmi ciò che Adamo si disse in segreto.
Fu liberato quando ricordò? Dimmi una cosa qualunque
che cambi il colore di questo cielo grigio.
Dimmi qualche parola semplice, di quelle
che a una donna piace sentire
di tanto in tanto. Di' che
due persone, come me e come te,
possono portare tutta questa
somiglianza tra la nebbia
e il miraggio e tornare sani e salvi.
Grigio è il mio cielo. A cosa pensi quando
Il cielo è grigio?

Siccità

Questo è un anno diffcile.
L’autunno non ci ha promesso nulla.
Non abbiamo aspettato messaggeri
e la siccità è sempre la stessa: una terra martoriata
e un cielo dorato.
Che il mio corpo sia il mio tempio.

... Dovrai. raggiungere il pane della mia anima
per conoscere te stesso. Non ho confini,
se voglio:
allargo il mio campo con una spiga
e questo spazio con una tortora.
Che il mio corpo sia il mio paese.

La siccità fissa il fiume,
guarda le palme
ma non intuisce il mio pozzo profondo.
Con te, non ho confini...
In autunno il cielo è autentico.
Immàginati donna, solo per una volta,
e vedrai ciò che vedo io.
Il mio corpo è il mio padrone.

La siccità è sempre qui: ogni volta
che un'idea si prosciuga, fiorisce il coro
dei supplicanti: Acqua, acqua!
A cosa mi servirebbe la profezia? Quando gli angeli buoni
sono ospiti della nuvola dei sognatori,
a cosa mi servirebbe il tuo libro? Quando
ciò che è in te è in me.
Il mio corpo sboccia nel mio corpo.

La siccità dice addio ai sette anni magri.
Ci vorrà una tregua in città,
capre che brucano l'erba
nei libri dei Babilonesi o degli altri,
che il cielo diventi autentico...
Allora illumina con il tuo vino il mio buio
e il mio sangue,
e abita nel mio corpo con me!

Chi sono senza esilio?

Straniero come il fiume in riva al fiume...
Al tuo nome
mi lega l'acqua. Nulla mi riporta dal mio lontano
alla mia palma: non la pace, né la guerra. Nulla
m'incorpora ai Vangeli. Nulla...
Nulla scintilla nelle maree
fra il Tigri e il Nilo. Nulla
mi fa sbarcare dai vascelli
di Faraone. Nulla
mi porta o mi fa portare un'idea:
non la nostalgia, né la promessa.
Cosa farò? Cosa farò senza
esilio e senza una lunga notte
che scruta l'acqua?

Al tuo nome mi
lega
l'acqua...
Nulla mi porta dalle farfalle del mio sogno
alla realtà: non la terra, né il fuoco. Cosa farò
senza le rose di Samarcanda?
Cosa farò in una piazza che leviga i cantori
con le sue pietre lunari? Siamo diventati
leggeri come le nostre dimore
nei venti lontani. Siamo diventati amici
delle meravigliose creature tra le nuvole...
E ci siamo liberati dal peso della terra dell'identità.
Cosa faremo... cosa faremo senza esilio e senza una lunga
      notte
che scruta l'acqua?

Al tuo nome
mi lega
l'acqua...
Di me sei rimasta solamente tu, e di te
sono rimasto solamente io, uno straniero
che accarezza la coscia della sua straniera: o straniera!
Cosa faremo della calma
che ci è rimasta... e del riposo tra due miti?
Nulla ci porta: non la strada, né la casa.
Questa strada era la stessa fin dall’inizio
o i nostri sogni ci hanno sostituiti
con una cavalla, presso i mongoli, sulla collina?
E cosa faremo?
Cosa
faremo
senza
esilio?

Jamil Buthayna e io

Siamo cresciuti, Jamil Buthayna e io, ognuno
per sé e in tempi d1versi...
Il tempo agisce come il sole
e il vento: ci leviga e ci uccide
quando la ragione racchiude l'affetto del cuore o
il cuore trova la sua saggezza.

O Jamil! Buthayna invecchia come te,
come me?

Invecchia negli sguardi degli altri, amico mio,
fuori dal cuore.
E dentro di me la gazzella
si immerge nella sua fontana
zampillante.

È lei o la sua immagine?

È lei, amico mio. Il suo sangue, la sua carne
e il suo nome. È atemporale. Forse
mi fermerà domani
sulla strada verso il suo passato.

Ti ha amato? O l'ha sedotta la sua metafora
nei tuoi canti? Una perla che, quando fissa
le tue notti e i suoi occhi si velano,
appare luna dal cuore di pietra,
o Jamil?

È l’amore, amico mio, la nostra morte scelta,
una passante che sposa sempre un passante...
Non ho fine, non ho inizio.
Buthayna non è mia e io non sono suo. Questo
è l'amore, amico mio. Magari
fossi più giovane di venti porte,
l’aria sarebbe leggera e il suo
profilo nella notte più nitido
di un neo sopra
il suo ombelico...

L'hai sedotta, Jamil, e lei ti ha sedotto,
a differenza
di quanto si racconta?

L'ho sposata. Abbiamo scosso il cielo
ché scorresse latte
sul nostro pane. Ogni volta che l'ho presa, ha
fatto sbocciare il mio corpo,
fiore dopo fiore, e il mio domani
ha versato il suo vino,
goccia dopo goccia, nelle sue brocche.

Sei stato creato per lei, o Jamil,
e rimarrai suo per sempre?

Me l'hanno ordinato e insegnato. Non mi importa
la mia esistenza versata come acqua
sulla sua pelle color vino. E non mi importa
l'immortalità
che ci seguirà come i cani dei pastori.
Sono soltanto come mi ha creato Buthayna.

Mi spiegheresti l'amore, o Jamil,
ché lo memorizzi nei minimi dettagli?

I più fini conoscitori dell'amore sono
i più perplessi.
E allora brucia, non per conoscere te stesso ma per
accendere le notti di Buthayna...

Più alto della notte, Jamil si è levato in volo
e ha rotto le sue grucce. Si è chinato
sul mio orecchio bisbigliando: Se vedi
Buthayna in un'altra donna,
prendi la morte per compagna, amico mio,
e brilla laggiù, nel nome di Buthayna
come la sonorità della rima!

Una maschera... Per il pazzo di Leyla

Ho trovato una maschera e sono stato tentato
di essere il mio altro. Non avevo trent'anni, pensavo che
le parole fossero i confini dell’esistenza ed ero
pazzo di Leyla come ogni giovane uomo
che vede sorgere il sale dal suo sangue. E Leyla
non è incarnata in un corpo
ma l'immagine dell'anima è sua
in ogni cosa. Mi avvicina alla rotazione dei pianeti.
Mi allontana dalla mia vita sulla terra. Non è
morte né Leyla. «Sono te, ci vorrà un nulla blu
per l'ultimo abbraccio». Quando mi sono suicidato nel
      fiume,
il fiume mi ha curato.
Un passante mi ha salvato e ho chiesto:
Perché mi restituisci l'aria prolungando
così la mia morte? Ha risposto:
Perché tu conosca meglio te stesso... chi sei?
Ho risposto: Sono il Qays di Leyla, e tu?
Ha detto: Suo marito.
Insieme abbiamo camminato nei vicoli di Granada
ricordandoci i nostri giorni nel Golfo...
Senza dolore,
ricordandoci i nostri giorni nel Golfo lontano.

Sono il Qays di Leyla,
straniero al mio nome e al mio tempo.
Non scuoto l’assenza come un tronco di palma
per allontanare da me la perdita o ritrovare
l’aria nel Nagd.
Ma, poiché il lontano è rimasto identico sulle mie spalle,
sono ciò che Leyla dice al suo cuore.
Che la gazzella abbia una steppa
altra che il mio cammino verso la sua assenza.
Devo ridurre il suo deserto, allargare la mia notte
ché due stelle ci uniscano sulla sua via?
Sul cammino verso il suo amore vedo
solo un passato che con i miei vecchi poemi diverte
il sonno delle carovane nella notte
e con la mia vecchia ferita illumina la
via della seta.
Forse dovrà passarci anche il commercio.
Sono tra coloro che muoiono quando amano. Niente
è più lontano dalla mia cavalla di un’ode
giahilita
e niente è più lontano dalla mia lingua
dell'emiro di Damasco.
Sono il primo dei perdenti,
l'ultimo dei sognatori e lo schiavo del lontano.
Sono un essere che non è stato, un’idea di poema
senza paese né corpo,
senza padre né figlio.

Sono il Qays di Leyla, io,
e sono... nessuno!

CARTA D’IDENTITA’
Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arriverà dopo l’estate.
V’irriterete?
Ricordate!
Sono un arabo,
impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e I libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Né mi umilio ai gradini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?
Ricordate!
Sono un arabo,
Ho un nome senza titoli
E resto paziente nella terra
La cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima dell’apertura delle ere
prima dei pini, e degli alberi d’olivo
E prima che crescesse l’erba.
Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,
Non da un ceto privilegiato
e mio nonno, era un contadino
né ben cresciuto, né ben nato!
Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere,
e la mia casa è come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!
Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste,
Come si mormora.
Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!

PROFUGO

Hanno incatenato la sua bocca
e legato le sue mani alla pietra dei morti.
Hanno detto: “Assassino!”,
gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere
e lo hanno gettato nella cella dei morti.
Hanno detto: “Ladro!”,
lo hanno rifiutato in tutti i porti,
hanno portato via il suo piccolo amore,
poi hanno detto: “Profugo!”.
Tu che hai piedi e mani insanguinati,
la notte è effimera,
né gli anelli delle catene sono indistruttibili,
perché i chicchi della mia spiga che va seccando
riempiranno la valle di grano.

UNA LEZIONE DI KAMASUTRA

Con la coppa incastonata d’azzurro
aspettala
vicino alla fontana della sera e ai fiori di caprifoglio,
aspettala
con la pazienza del cavallo sellato,
aspettala
con il buon gusto del principe raffinato e bello
aspettala
con sette cuscini pieni di nuvole leggere,
aspettala
con il fuoco dell’incenso femminile dappertutto
aspettala
con il profumo maschile di sandalo sui dorsi dei cavalli,
aspettala.
E non spazientirti. Se arriva in ritardo
aspettala,
se arriva in anticipo
aspettala
e non spaventare gli uccelli sulle sue trecce,
e aspettala
chè si sieda rilassata come un giardino in fiore,
e aspettala
chè respiri un’aria estranea al suo cuore,
e aspettala
fino a che non sollevi il suo vestito scoprendo le gambe
nuvola dopo nuvola,
e aspettala
e portala su un balcone per vedere una luna annegata nel latte,
e aspettala
e offrile l’acqua prima del vino e non
guardare il paio di pernici che le dormono sul petto,
e aspettala
e accarezza lentamente la sua mano
quando poggia la coppa sul marmo
come se sollevassi la rugiada per lei,
e aspettala
e parlale come il flauto
alla coda spaventata del violino,
come due testimoni di ciò che il domani vi prepara,
e aspettala
e leviga la sua notte anello dopo anello,
e aspettala
fino a che la notte non ti dica:
Al mondo siete rimasti soltanto voi due.
Allora portala dolcemente alla tua morte desiderata
e aspettala….!

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