Decapitazioni, assenza di cibo e medicinali, colpi di artiglieria contro le case e cecchini che mirano a chiunque provi a uscire o entrare nel campo. Yarmouk, la “capitale” dei rifugiati palestinesi, il simbolo della diaspora e dell’agognato diritto al ritorno, vive l’ennesimo capitolo della sua personale tragedia.
A combattere dentro Yarmouk sono i gruppi palestinesi, nell’estremo tentativo di difendere quel poco di normalità che il campo ha sempre rappresentato fino allo scoppio della guerra civile siriana. Ma i residenti sono allo stremo, senza cibo, acqua né medicinali, fa sapere l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.
Secondo Anwar Abdel-Hadi, responsabile dell’Olp in Siria, «lo Stato Islamico [entrato definitivamente a Yarmouk una settimana fa, ndr] controlla ora il 60% di Yarmouk, dopo aver preso il 90% ma essere stato poi respinto dai gruppi armati da alcuni quartieri del campo». Ancora sono in corso gli scontri tra le vie strette del campo profughi, scontri a cui prende parte l’artiglieria del governo di Damasco, intenzionato a non permettere agli islamisti di avvicinarsi ulteriormente al cuore della capitale.
«Yarmouk il più grande campo profughi palestinese al mondo e base per decenni della leadership palestinese in esilio, è modello della guerra civile siriana ma anche del più ampio conflitto che oggi scuote la regione – spiega al manifesto l’analista palestinese Nassar Ibrahim – Dentro Yarmouk sono presenti, direttamente e indirettamente, tutti gli attori locali, regionali e internazionali che da quattro anni tentano di decidere le sorti di Damasco, facendo collassare il governo del presidente Bashar al-Assad. Ci sono i gruppi islamisti creati e finanziati dal Golfo e dalla Turchia; ci sono le opposizioni moderate, strumento occidentale; ci sono i gruppi pro-Assad, c’è l’esercito governativo; c’è il califfato di al-Baghdadi».
Dentro Yarmouk sono in tanti a combattere, ma a pagarne le spese è quel che rimane della popolazione del campo, che prima oscillava tra le 150mila e le 180mila persone, per lo più rifugiati palestinesi, ma anche siriani poveri impossibilitati a vivere nella capitale. Difficile dare un bilancio esatto delle vittime: la stampa parla di 40 morti dallo scorso mercoledì, quando l’Isis ha fatto irruzione nel campo; fonti mediche di quasi 200.
I gruppi presenti coprono l’intero spettro del conflitto: due gruppi palestinesi pro-Assad, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – General Command e Fatah al Intifada, vicino ad Hezbollah; i qaedisti di al-Nusra, i siriani islamisti di Ahrar al-Sham, i siriani moderati dell’Esercito Libero, opposizione a Damasco; e i gruppi palestinesi Aknaf Beit al-Maqdis (organizzati da Hamas) e i fuoriusciti del Pflp, al-Uhda al-Umariya.
«Nel 2011 il governo di Damasco ha tentato di lasciare fuori i profughi palestinesi dal conflitto. Vi sono stati trascinati dalla decisione di Hamas di abbandonare l’ex alleato siriano, per schierarsi con l’asse di opposizione – continua Ibrahim – Fino al 2012 il capo di Hamas, Khaled Meshaal, aveva la sua base a Yarmouk. Questa rottura ha portato i gruppi palestinesi vicini ad Hamas a schierarsi con i ribelli siriani: Yarmouk è finita nel cuore del conflitto».
«Oggi Yarmouk è il terzo fronte aperto in queste settimane dalle opposizioni interne e dai nemici esterni contro il governo Assad, a seguito delle vittorie segnate dall’asse sciita in Yemen (dove l’Arabia Saudita non riesce a frenare l’avanzata Houthi) e in Iraq (dove i pasdaran iraniani hanno liberato Tikrit). Il primo fronte è al confine con la Giordania: una settimana fa al-Nusra ha preso il principale valico con il regno hashemita, Nasib. Il secondo fronte è a nord, a Idlib, occupata dai qaedisti. E il terzo è Yarmouk, che dopo le battaglie per il controllo delle regioni settentrionali, da Aleppo a Raqqa, e quelle meridionali al confine con il Golan, ha fatto tornare centrale Damasco.Yarmouk è oggi fondamentale perché a pochi km dal cuore del governo Assad, perché modello del più ampio conflitto a livello nazionale e regionale e, infine, perché rappresenta la questione palestinese e i tentativi di strumentalizzazione da parte di tutti gli attori coinvolti».
Chi paga le spese delle tante guerre per procura mediorientali è la popolazione civile. Lunedì il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha chiesto la creazione di un accesso umanitario al campo per garantire la protezione dei civili e la loro evacuazione. Ma la situazione, dice Pierre Krahenbuhl, capo dell’agenzia Onu Unrwa, «è più disperata che mai». Alle bombe governative che piovono sul campo, nel tentativo di colpire le postazioni dell’Isis, si aggiungono le atrocità dello Stato Islamico: almeno nove combattenti palestinesi sarebbero stati uccisi, due di loro decapitati.
Così il numero di residenti di Yarmouk continua ad assottigliarsi: 18mila dopo lo scoppio della guerra civile, il 10% della popolazione totale; 15-16mila oggi, dopo la fuga disperata dalle barbarie dell’Isis di altri 2mila rifugiati che in qualche modo sono riusciti a rompere l’assedio e a darsi alla fuga.
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