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mercoledì 8 aprile 2015

TUTTO SU YARMOUK


Deca­pi­ta­zioni, assenza di cibo e medi­ci­nali, colpi di arti­glie­ria con­tro le case e cec­chini che mirano a chiun­que provi a uscire o entrare nel campo. Yar­mouk, la “capi­tale” dei rifu­giati pale­sti­nesi, il sim­bolo della dia­spora e dell’agognato diritto al ritorno, vive l’ennesimo capi­tolo della sua per­so­nale tragedia. A com­bat­tere den­tro Yar­mouk sono i gruppi pale­sti­nesi, nell’estremo ten­ta­tivo di difen­dere quel poco di nor­ma­lità che il campo ha sem­pre rap­pre­sen­tato fino allo scop­pio della guerra civile siriana. Ma i resi­denti sono allo stremo, senza cibo, acqua né medi­ci­nali, fa sapere l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifu­giati palestinesi.
Secondo Anwar Abdel-Hadi, respon­sa­bile dell’Olp in Siria, «lo Stato Isla­mico [entrato defi­ni­ti­va­mente a Yar­mouk una set­ti­mana fa, ndr] con­trolla ora il 60% di Yar­mouk, dopo aver preso il 90% ma essere stato poi respinto dai gruppi armati da alcuni quar­tieri del campo». Ancora sono in corso gli scon­tri tra le vie strette del campo pro­fu­ghi, scon­tri a cui prende parte l’artiglieria del governo di Dama­sco, inten­zio­nato a non per­met­tere agli isla­mi­sti di avvi­ci­narsi ulte­rior­mente al cuore della capitale. «Yar­mouk il più grande campo pro­fu­ghi pale­sti­nese al mondo e base per decenni della lea­der­ship pale­sti­nese in esi­lio, è modello della guerra civile siriana ma anche del più ampio con­flitto che oggi scuote la regione – spiega al mani­fe­sto l’analista pale­sti­nese Nas­sar Ibra­him – Den­tro Yar­mouk sono pre­senti, diret­ta­mente e indi­ret­ta­mente, tutti gli attori locali, regio­nali e inter­na­zio­nali che da quat­tro anni ten­tano di deci­dere le sorti di Dama­sco, facendo col­las­sare il governo del pre­si­dente Bashar al-Assad. Ci sono i gruppi isla­mi­sti creati e finan­ziati dal Golfo e dalla Tur­chia; ci sono le oppo­si­zioni mode­rate, stru­mento occi­den­tale; ci sono i gruppi pro-Assad, c’è l’esercito gover­na­tivo; c’è il calif­fato di al-Baghdadi». Den­tro Yar­mouk sono in tanti a com­bat­tere, ma a pagarne le spese è quel che rimane della popo­la­zione del campo, che prima oscil­lava tra le 150mila e le 180mila per­sone, per lo più rifu­giati pale­sti­nesi, ma anche siriani poveri impos­si­bi­li­tati a vivere nella capi­tale. Dif­fi­cile dare un bilan­cio esatto delle vit­time: la stampa parla di 40 morti dallo scorso mer­co­ledì, quando l’Isis ha fatto irru­zione nel campo; fonti medi­che di quasi 200.
I gruppi pre­senti coprono l’intero spet­tro del con­flitto: due gruppi pale­sti­nesi pro-Assad, il Fronte Popo­lare per la Libe­ra­zione della Pale­stina – Gene­ral Com­mand e Fatah al Inti­fada, vicino ad Hez­bol­lah; i qae­di­sti di al-Nusra, i siriani isla­mi­sti di Ahrar al-Sham, i siriani mode­rati dell’Esercito Libero, oppo­si­zione a Dama­sco; e i gruppi pale­sti­nesi Aknaf Beit al-Maqdis (orga­niz­zati da Hamas) e i fuo­riu­sciti del Pflp, al-Uhda al-Umariya. «Nel 2011 il governo di Dama­sco ha ten­tato di lasciare fuori i pro­fu­ghi pale­sti­nesi dal con­flitto. Vi sono stati tra­sci­nati dalla deci­sione di Hamas di abban­do­nare l’ex alleato siriano, per schie­rarsi con l’asse di oppo­si­zione – con­ti­nua Ibra­him – Fino al 2012 il capo di Hamas, Kha­led Meshaal, aveva la sua base a Yar­mouk. Que­sta rot­tura ha por­tato i gruppi pale­sti­nesi vicini ad Hamas a schie­rarsi con i ribelli siriani: Yar­mouk è finita nel cuore del conflitto».
«Oggi Yar­mouk è il terzo fronte aperto in que­ste set­ti­mane dalle oppo­si­zioni interne e dai nemici esterni con­tro il governo Assad, a seguito delle vit­to­rie segnate dall’asse sciita in Yemen (dove l’Arabia Sau­dita non rie­sce a fre­nare l’avanzata Hou­thi) e in Iraq (dove i pasda­ran ira­niani hanno libe­rato Tikrit). Il primo fronte è al con­fine con la Gior­da­nia: una set­ti­mana fa al-Nusra ha preso il prin­ci­pale valico con il regno hashe­mita, Nasib. Il secondo fronte è a nord, a Idlib, occu­pata dai qae­di­sti. E il terzo è Yar­mouk, che dopo le bat­ta­glie per il con­trollo delle regioni set­ten­trio­nali, da Aleppo a Raqqa, e quelle meri­dio­nali al con­fine con il Golan, ha fatto tor­nare cen­trale Damasco.Yarmouk è oggi fon­da­men­tale per­ché a pochi km dal cuore del governo Assad, per­ché modello del più ampio con­flitto a livello nazio­nale e regio­nale e, infine, per­ché rap­pre­senta la que­stione pale­sti­nese e i ten­ta­tivi di stru­men­ta­liz­za­zione da parte di tutti gli attori coinvolti».
Chi paga le spese delle tante guerre per pro­cura medio­rien­tali è la popo­la­zione civile. Lunedì il Con­si­glio di Sicu­rezza dell’Onu ha chie­sto la crea­zione di un accesso uma­ni­ta­rio al campo per garan­tire la pro­te­zione dei civili e la loro eva­cua­zione. Ma la situa­zione, dice Pierre Kra­hen­buhl, capo dell’agenzia Onu Unrwa, «è più dispe­rata che mai». Alle bombe gover­na­tive che pio­vono sul campo, nel ten­ta­tivo di col­pire le posta­zioni dell’Isis, si aggiun­gono le atro­cità dello Stato Isla­mico: almeno nove com­bat­tenti pale­sti­nesi sareb­bero stati uccisi, due di loro decapitati.
Così il numero di resi­denti di Yar­mouk con­ti­nua ad assot­ti­gliarsi: 18mila dopo lo scop­pio della guerra civile, il 10% della popo­la­zione totale; 15-16mila oggi, dopo la fuga dispe­rata dalle bar­ba­rie dell’Isis di altri 2mila rifu­giati che in qual­che modo sono riu­sciti a rom­pere l’assedio e a darsi alla fuga.

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